Politica
4 dicembre, 2025Controlli severi sulle abitazioni sfuggite al catasto. Ma intanto una folta pattuglia di parlamentari della maggioranza lavora alla sanatoria annunciata sotto elezioni
Avevano anche aperto uno striscione, davanti all’ingresso del palazzo di Montecitorio: «No tasse sulla casa». L’arringa era affidata a Luca Ciriani. «La Camera dei deputati voterà oggi la riforma del catasto, che noi abbiamo contrastato fino all’ultimo minuto», esordiva il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, con al suo fianco il collega capo dei deputati Francesco Lollobrigida. «È una tassa occulta sulla casa, ovvero sul patrimonio delle famiglie italiane». E poi giù una stilettata sul mitico Piano nazionale di ripresa e resilienza: «Si dice che ce lo chiede l'Europa come riforma legata al Pnrr. Ma noi sappiamo che non è così. La casa non si tocca. Né oggi, né domani». Parola del futuro ministro per i Rapporti con il Parlamento.
Era il 22 giugno 2022, e quel «domani» presto sarebbe diventato un «oggi». Ma con una prospettiva radicalmente diversa. Dal 22 ottobre 2022 Ciriani e Lollobrigida sono al governo con Giorgia Meloni. E quel tabù, «la casa non si tocca» segue il destino di tante altre cose che dall’opposizione si vedono in un certo modo e che dal governo si vedono in un modo completamente diverso. Tipo le accise sui carburanti che dovevano essere abolite e ora invece sono diventate, quelle sì, intoccabili.
Ecco quindi scattare con il governo Meloni l’aggiornamento delle rendite catastali per le abitazioni che hanno usufruito del superbonus. Si affretta a precisare il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti il 16 ottobre 2024: «Niente di nuovo, c’è già nell’ordinamento». Cioè, esattamente quello che aveva previsto la riforma del governo di Mario Draghi e che gli attuali ministri Ciriani e Lollobrigida, allora all’opposizione, contestavano in piazza. Del resto la revisione dei valori catastali italiani non è una specie di ossessione della tanto criticata Unione europea, che l’ha chiesta ancora a giugno?
E presto dovrebbe scattare anche la fase due di quella riforma già messa all’indice da Ciriani, ossia la ricerca dei fabbricati non dichiarati al catasto. Guarda caso, proprio con la motivazione di «dare attuazione al Pnrr», come stabiliva la delega Draghi e come dice pure, nero su bianco, un emendamento alla manovra presentato dal senatore veronese di Fratelli d’Italia, Matteo Gelmetti. Il quale propone che l’Agenzia delle Entrate metta in moto controlli a tappeto, anche con rilevazioni aeree, per scoprire gli immobili nascosti al catasto.
Encomiabile, in teoria. A meno che questo non serva solo a rendere più potabile il condono edilizio spuntato, sempre nella manovra, alla vigilia delle elezioni regionali del 23 e 24 novembre. La quarta sanatoria di questo tipo dopo quelle del 1985, 1994 e 2003. Che potrebbe avere, come le precedenti, conseguenze facilmente immaginabili. Perché la casa è la casa. E nonostante la revisione del catasto sempre incombente, non si tocca.
Nei 22 anni trascorsi dall’ultimo condono l’offensiva dell’abusivismo non ha registrato soste. Secondo Legambiente, inoltre, appena il 15,3 per cento dei 70.571 immobili per cui è stato decretato l’abbattimento è stato demolito. La regola è che demolizione e smaltimento delle macerie siano a carico di chi ha costruito. Ma quando ciò non si verifica, vale a dire praticamente sempre, deve provvedere l’amministrazione a proprie spese per poi rivalersi sul responsabile dell’abuso. Quale Comune può farvi fronte senza problemi? Renato Natale, l’ex sindaco antimafia di Casal di Principe rieletto dopo la bufera giudiziaria che aveva colpito i clan criminali casalesi, valutò una decina d’anni fa che per liberare fisicamente il territorio dalle costruzioni abusive sarebbero stati necessari almeno 300 milioni. Caso limite, che però fa ben comprendere la situazione.Un recente rapporto dell’Istat sostiene che in
Italia sono abusive 15 abitazioni su 100. La ricerca rivela che in media il tasso di abusivismo nel Mezzogiorno è superiore fino a dieci volte quello riscontrabile nelle Regioni settentrionali. In Campania, per esempio, tocca il 50,4 per cento. Soltanto in Basilicata e Calabria si trovano livelli più alti.
Nessuna sorpresa, perciò, che l’idea del quarto condono edilizio sia stata partorita in Campania. Dove peraltro la creatività per aggirare certe inflessibilità delle regole raggiunge livelli sconosciuti altrove. Le cronache narrano episodi letteralmente strepitosi. Nel 2017 il governo di Paolo Gentiloni ha impugnato una legge regionale che introduceva, testuale, «linee guida per supportare gli enti locali che intendono azionare misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi». Qualche tempo prima il Senato ha addirittura approvato una legge nazionale che decreta le priorità da rispettare negli abbattimenti degli immobili abusivi. Prima di tutti quelli pericolosi. Quindi quelli non ancora ultimati. Poi quelli dei mafiosi e via via i villaggi turistici frutto di lottizzazioni abusive, le seconde case, gli immobili commerciali. In fondo all’elenco le case abusive occupate da chi ci abita, ma non senza «contestuale comunicazione alle competenti amministrazioni comunali in caso di immobili in possesso di soggetti in caso di indigenza». Insomma, un salvacondotto formidabile.
La legge, poi evaporata, portava la firma di una trentina di deputati campani. In testa a tutti Ciro Falanga, avvocato di Forza Italia nato a Torre del Greco. Città con il record di irregolarità edilizie della provincia di Napoli e una richiesta di condono inevasa ogni 6,5 abitanti, che nel 2019 aveva cercato di sfruttare una legge regionale per «scacciare l’incubo abbattimenti», secondo il sito metropolisweb.it.
Ma Torre del Greco, per una singolare coincidenza, è anche la città originaria di Antonio Iannone, deputato di Fratelli d’Italia promosso a marzo sottosegretario alle Infrastrutture per sostituire Galeazzo Bignami, trasferito all’incarico di capogruppo alla Camera. È l’autore dell’emendamento alla finanziaria che spiana la strada al nuovo condono edilizio riaprendo i termini dell’ultima sanatoria di Silvio Berlusconi, quella del 2003. Fedele al potente viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, candidato «governatore» della Campania alle ultime Regionali, Iannone l’ha presentato alla vigilia delle elezioni.
Ma la trovata elettorale ha radici più profonde. L’emendamento è infatti quasi la fotocopia di una proposta di legge avanzata cinque mesi fa da Imma Vietri, deputata di Fratelli d’Italia di Salerno, area dove l’influenza politica di Cirielli nel suo partito non ha eguali. Proposta a sua volta pressoché identica alla norma sul condono edilizio del 2023 targato Berlusconi. Il principio è lo stesso: si riaprono i termini e la sanatoria sarà gestita dalle Regioni che con proprie leggi regionali ne fisseranno i paletti. Tutto ciò a dispetto dei rischi cui si andrà incontro lasciando mano libera alla politica locale. Per non parlare di ciò che si riverserà sulle amministrazioni comunali. È opportuno ricordare che a quarant’anni dall’avvio della stagione dei condoni ci sono ancora nei cassetti dei Comuni alcuni milioni di domande in attesa di risposta. Lecito supporre che molte siano rimaste sul binario morto perché la sanatoria non potrebbe mai venire concessa, con le conseguenze del caso.
Ma anche per quel problema c’è chi ha una soluzione geniale. Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, nientemeno: «Entro 30 giorni i Comuni con alcuni milioni di pratiche arretrate decidano. Sennò, silenzio-assenso». Geniale. A quel punto il caos, complice anche il nuovo condono, si rovescerà direttamente sul catasto.
E la riforma degli estimi? Il tempo, prima o poi, verrà. Perché la casa davvero non si tocca. Chi ha mai detto il contrario?
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