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Tor Bella Monaca, come risanare l’utopia svanita

Dal 2022 è in corso la riqualificazione di un complesso di edilizia popolare nel quartiere romano. Qui è nata la lotta per la casa negli anni Ottanta, tra assenza di servizi e abitanti-fantasma

Dopo decenni di immobilismo, forse qualcosa si sta muovendo. Nel 2020, infatti, ha preso vita un progetto di riqualificazione del quartiere romano di Tor Bella Monaca, in particolare del comparto R5: tre ferri di cavallo di cemento che ospitano più di 1.200 alloggi e quattromila abitanti. Inizialmente, si prevedeva l’ammodernamento della sola corte centrale, ma, grazie ai fondi del Pnrr, la riqualificazione riguarderà tutti gli abitati di via dell’Archeologia. La costruzione dei palazzi di Tor Bella Monaca risale agli anni Ottanta e, da allora, questi ultimi non sono mai cambiati. La manutenzione ordinaria è molto faticosa, a causa della struttura rigida e poco flessibile, dice l’ingegnere Francesco Montillo, urbanista dell’Università La Sapienza. Il cantiere è aperto e in funzione dal 2022, con la fine dei lavori prevista a giugno del 2026, ma per cui è già stata accordata una proroga fino alla fine dell’anno. Non c’è stato il tempo, dice Montillo, di attuare una progettazione partecipata, ma è stato promosso un «percorso iniziale di ascolto» dei residenti, con l’aiuto di assistenti sociali del dipartimento di Politiche abitative del Comune.

 

Il primo obiettivo della riqualificazione è l’efficientamento energetico. Ma anche quello di risolvere i problemi di molti residenti, i quali sono costretti da decenni ad affrontare la risalita dalle fognature, la pioggia che s’infiltra e cade dentro agli ultimi piani e le perdite di acque nere dalle colonne di scarico, che scendono lungo tutti i piani. Un’altra linea di intervento, forse il più rivoluzionario, riguarda il ribaltamento dell’accesso ai corpi scala. L’ingresso degli appartamenti è un groviglio di scale a cui si accede tramite ballatoi non visibili dalla strada. L’idea è di mettere dei portoni esterni per ogni scala, come nei normali appartamenti, visto che questo spazio grigio tra l’abitazione e la strada è diventato terreno di conquista della criminalità. Ciò ha significato la demolizione degli appartamenti in prossimità dei corpi scala e le prime reazioni ostili da parte degli abitanti. Infine, la riqualificazione ha lo scopo di risolvere la mancanza di servizi, il che comporterà un’ulteriore movimentazione di nuclei. Sono 112 le famiglie che verranno trasferite in altri alloggi popolari e, secondo gli urbanisti, questo cambiamento è essenziale: in tutta via dell’Archeologia vivono più di settemila abitanti, ma non hanno a disposizione alcun servizio; per questo, i primi piani e i vani al pianterreno saranno utilizzati per nuove destinazioni d’uso.

 

E un ostacolo concreto è stato proprio capire quante fossero realmente le persone che abitano in via dell’Archeologia, da sempre luogo di occupazioni e immagine simbolo della crisi abitativa strutturale di Roma. Fare un quadro della situazione è complesso, con un 20 per cento di assegnatari regolari, un’alta percentuale di situazioni irregolari, ma sanabili, e una piccola parte di nuclei familiari occupanti senza titolo. La difficoltà nelle nuove assegnazioni risiede nel constatare che molti nuclei sono più numerosi di quanto emerge da un formale censimento; ci sono poi molti casi di disabilità fisica, essendo Tor Bella Monaca il primo quartiere modello senza barriere architettoniche, mentre quasi la metà degli abitanti versa in povertà. Chiedere a qualcuno del comparto R5 di lasciare quei palazzi o di cambiare scala significa mettere in discussione anche il modo di vivere in tale spazio, che si sostanzia in rapporti di vicinato stretti, micro-dimensionali e, quindi, dice Montillo, di pianerottolo.

 

Tor Bella Monaca è raccontata quotidianamente come uno dei quartieri più degradati della Capitale, tra le notizie sullo spaccio, lo sversamento illegale di rifiuti, il bisogno di sorveglianza continua e le condizioni di vita marginalizzate dei residenti. Non viene raccontato, invece, che si tratta di uno dei luoghi dove è nata la lotta per la casa tra l’inizio degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta, quando Roma aveva quasi mezzo milione di baraccati a cui non riusciva a garantire un alloggio. Qui il presidio sanitario è arrivato dopo dieci anni e la scuola è stata attivata dagli abitanti. Quelli di Tor Bella Monaca erano emarginati nelle baracche e così sono rimasti anche nelle case, senza politiche inclusive e di sostegno, passati nell’immaginario comune o come criminali o come martiri. L’R5 viene dall’utopia socialista della Repubblica democratica tedesca, progettato per un vivere comunitario, con grandi spazi esterni da usare collettivamente. In Italia, però, questa corrente architettonica è arrivata decenni dopo la sua teorizzazione, quando ormai si era cominciato a vivere in una condizione individuale. Quei palazzi che svettano nella loro grandezza non hanno mai assolto la loro funzione originaria, dando vita a luoghi desolanti. «In questi quartieri lo Stato ha fatto retromarcia», dice ancora l’urbanista.

 

Il progetto finanziato dal Pnrr è importante per la sua natura pubblica: Tor Bella Monaca è già stata oggetto di interventi privati, ma le riqualificazioni devono riguardare la politica da vicino. Al contrario, l’attuale governo – dal decreto Caivano in poi – ha diffuso una propaganda aggressiva che descrive le periferie come luoghi di malavitosi e occupanti. Propaganda che si è tradotta in interventi legislativi severi e inflessibili. Con il ddl Sicurezza si è introdotto un nuovo reato per l’occupazione abusiva di immobile altrui, riducendo le tempistiche per gli sgomberi. Sul fronte opposto, nulla è stato fatto, ad esempio, per ridare vita ai centri di alloggio temporaneo, dove le famiglie possono alloggiare in attesa di una casa popolare. Giorgia Meloni ha dato il via a una «guerra alle occupazioni», perché, dice la presidente del Consiglio, «è finita l’era nella quale lo Stato si girava dall’altra parte». A chi lotta per un diritto come quello alla casa, però, andrebbe data una risposta. Per risolvere un’emergenza abitativa che solo a Roma coinvolge quasi 60mila nuclei familiari.

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