La politica discute della riduzione dell’orario di lavoro, a parità di stipendio. Si potrebbe arrivare a una legge che prevede meno ore di lavoro, ma stesso compenso. La proposta, insabbiata alla Camera, arriva dalle opposizioni. C’erano tre testi su cui si era iniziato a discutere un anno fa in commissione Lavoro, presentati da Pd, M5s e Avs, poi confluiti in uno unico. Ma sul tema si era espresso anche il sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon, che era favorevole alla sperimentazione della settimana corta. La maggioranza però, dopo un anno, non ha ancora presentato una sua proposta.
Secondo le opposizioni bisogna arrivare a una progressiva riduzione dell’orario di lavoro da 40 a 32 ore settimanali, a parità di salario. Per i primi 3 anni dall’entrata in vigore della legge, le imprese beneficeranno di esoneri contributivi fino al 30% e, nel caso di quelle più piccole, addirittura di un taglio fino al 50%. Dopo tre anni, dovrebbe essere il governo con un decreto del presidente del Consiglio (un Dpcm) a ridurre ufficialmente l’orario di lavoro.
A febbraio sarebbe dovuta iniziare la discussione in Aula a Montecitorio, ma la maggioranza ha deciso di rinviare il testo in commissione Lavoro per ulteriori approfondimenti. Ci sarebbero lacune sulle coperture economiche, secondo il presidente della commissione Lavoro Walter Rizzetto (Fdi), che stima un costo – per questa misura – di oltre 8 miliardi di euro. È una cifra altissima, considerando che l’ultima manovra di bilancio ha un valore di 30 miliardi.
Per le opposizioni, bisogna riprendere la discussione al più presto e compiere una svolta culturale che concilierebbe meglio i tempi di vita e quelli di lavoro. Si guarda a quanto ha fatto recentemente il governo socialista di Pedro Sanchez in Spagna, che ha spinto per una riduzione della settimana lavorativa da 40 a 37,5 ore.