Il 20 maggio alla Camera si vota la legge che regola l'italodiscendenza. La norma, dall'essere una fra le più generose al mondo, diventa una delle più rigide. I figli degli expat di ultimissima generazione che hanno conquistato una doppia cittadinanza non potranno più tramandare la loro italianità

Stretta sulla cittadinanza italiana: i figli degli expat perderanno il diritto a tramandarla

La settimana sarà intensa, per gli italiani all’estero. Non solo perché arriveranno nelle case le schede per votare ai referendum (se non arrivano entro il 25 maggio si può richiedere il duplicato al proprio consolato di riferimento), ma soprattutto perché alla Camera dei deputati sarà votata, dopo l’approvazione al Senato della settimana scorsa, la nuova legge che disciplina la cittadinanza per gli italodiscendenti e che rivoluziona l’impianto precedente, andando a trasformare il futuro di sette milioni di italiani all’estero e almeno sessanta milioni di italodiscendenti.

 

Da più di trent’anni la legge riconosceva agli oriundi con qualsiasi grado di ascendenza il potenziale riconoscimento automatico della cittadinanza italiana, grazie all’interpretazione più generosa del mondo rispetto allo ius sanguinis. Dal 28 marzo, per effetto del decreto legge 36/2025, i gradi di ascendenza si fermano a due e bloccano gli automatismi, lasciando come opportunità quella di rientrare a vivere per due anni in Italia per riaprire la capacità di trasmissione della cittadinanza ai propri figli.

 

La necessità di una riforma era sentita da tutti, ma la scelta dello strumento del decreto-legge sta chiudendo in sessanta giorni un dibattito parlamentare che nei media mainstream nazionali non è ancora cominciato, e che invece vale la pena aprire, perché come l’Italia regola i rapporti con gli italiani all’estero è una questione cruciale anche per i residenti, perché partecipa della visione del passato e del futuro della nostra comunità civile: non deve restare un tema esclusivo dei diretti interessati e degli addetti ai lavori.

 

Oggi è il giorno in cui riflettere sulle ragioni per cui l’Italia aveva scelto tanta generosità. La storia dell’emigrazione italiana ci qualifica come un Paese segnato da importanti flussi. Quelli del passato hanno tessuto legami fortissimi con territori vicini e lontani, costruito col sacrificio del lavoro italiano nel mondo (che giustamente ricordiamo ogni 8 agosto con una giornata nazionale dedicata, nell’anniversario della strage di Marcinelle) e sorretto economicamente con le rimesse il nostro giovane Stato, contribuendo alla creazione di una potenza mondiale. I flussi attuali, da vent’anni inchiodati nella definizione di “cervelli in fuga”, ma in realtà mutevoli e multiformi, hanno contribuito a costruire l’Europa e un’idea di Italia capace di entrare in relazione con tutti i paesi del mondo senza recidere il legame con la madrepatria, proprio grazie alla visione di Italia nel mondo in vigore fino al 27 marzo scorso

 

Oggi gli “expat” contribuiscono anche alla natalità italiana in maniera superiore a chi risiede tra i confini del Bel Paese, unendosi nella metà dei casi con cittadini di altri Paesi. Per questa caratteristica è fondamentale chiarire che la nuova norma ha un impatto trasversale e tocca in maniera particolare i doppi cittadini. Infatti, se si è abbandonato di fatto lo ius sanguinis automatico, non si è comunque approdati allo ius soli, né ad un sistema misto tra i due: l’ascendente da cui parte la constatazione di cittadinanza è colui che è in possesso di una cittadinanza esclusiva italiana. Attenzione, quindi, a tutti i genitori italiani all’estero che, magari in possesso di altra cittadinanza, non hanno ancora registrato all’anagrafe del Consolato i propri figli: ci sarà un tempo per rimediare, ma è per ora quantificato a un anno dall’entrata in vigore della legge, che sarà votata presumibilmente domani. Sulle differenze tra i nati all’interno di una stessa famiglia prima o dopo il 28 marzo 2025, invece, non si potrà intervenire: il “prima” e il “dopo” sono nettissimi, così come l’onda emotiva che ha accolto il provvedimento fuori dall’Italia. 

 

Per capirci, è come se la cittadinanza italiana diventasse un gene recessivo, che viene smarrito se i genitori non hanno la cittadinanza italiana esclusiva.

 

Il posto del nostro paese nel mondo non può essere scisso dal soft power rappresentato dai connazionali all’estero, tante volte e da fonti autorevoli definiti “ambasciatori dell’Italia nel mondo”. Il passaggio da un amore generoso ad un amore esclusivo, nel combinato disposto con l’inverno demografico, renderà rapidamente questi ambasciatori un bene molto più scarso e quindi prezioso (senza pero’ aver inciso sulle ragioni dell’emigrazione).

 

Un bene su cui necessariamente investire non solo per il valore in sé del legame tra la comunità nazionale residente e non residente, ma anche perché con la generosità con cui erano trattati, così generosamente si adoperavano per l’Italia: una riserva silenziosa e operosa di parlanti italiano e consumatori di made in Italy, una valanga che determinava a cascata i tanti più parlanti, i tanti più amanti del nostro paese, turisti, consumatori, curiosi, a cui si fa costantemente appello per progetti di crescita economica e che già oggi incidono sulla solidità del nostro export, riparandolo dalle fluttuazioni dell’attualità con una comunità italofona solidale, ad oggi sorretta da volontari e reti mutualistiche.

 

Per mantenere il peso specifico del nostro Paese nel mondo, limitato così rapidamente e drasticamente il numero dei connazionali nel giro di due generazioni, sarà obbligatorio rinforzare le reti esistenti, a partire dalle rappresentanze elette, e sostenere con un massiccio investimento l’insegnamento della lingua e della cultura italiana. Riconoscere la storia dell’emigrazione, il presente e il futuro delle migrazioni che riguardano il nostro Paese è anche, in questo momento storico, necessario per operare scelte politiche che qualifichino la nostra comunità civile, che è una sola, come costruttrice di ponti e di pace.

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