Putin, Anna e le Pussy Riot

La Politkovskaja accusava il regime russo di sentirsi onnipotente. Quello che sta succedendo alle cantanti-dissidenti buttate al confino ne è la conferma

Anna Politkovskaja diceva una cosa che per noi italiani può essere davvero difficile comprendere fino in fondo, abituati come siamo a una politica che per quanto odiosa continua a blandirci, a trattare l'elettorato come merce preziosa. Da noi, anche i politici che reputiamo i peggiori, nonostante tutto, fanno il possibile, in maniera goffa, per mantenere una parvenza di credibilità. Per persuaderci che in fondo certe scelte è nel nostro interesse che vengano prese. Pensiamo ora, per un attimo, alla politica russa, alla tracotanza con cui si sottrae a giustificazioni e processi. Anna Politkovskaja diceva che Putin teneva in altissimo conto l'opinione che la comunità internazionale aveva di lui, tanto da mentire continuamente all'estero su questioni di politica interna. Ma teneva nella più bassa considerazione l'opinione che di lui aveva la popolazione in patria, tanto da non reputare mai necessario giustificare le sue decisioni, condividerle. In poche parole Putin aveva raggiunto un tale grado di onnipotenza da agire impunemente calpestando i diritti di chi avrebbe dovuto votarlo. Era - ed è - in grado di esercitare una tale pressione sui vertici religiosi e sui mezzi d'informazione da poter convincere intere masse della giustezza dell'azione del suo governo. E di Anna Politkovskaja, prevenendo le obiezioni di qualche scettico, possiamo fidarci. Ha pagato con la vita.

POI, SU QUESTA FACCIATA tirata a lucido, alle vecchie ombre se ne aggiungono nuove. Pussy Riot è un nome lezioso che fa sorridere e ispira tenerezza. "La rivolta delle gattine" è il nome di un collettivo russo femminista, politicamente impegnato che agisce sotto rigoroso anonimato. Si tratta di una decina di persone che hanno dato vita, negli anni, a flash mob e a performance estemporanee come provocazioni politiche. A febbraio del 2012, tre donne del gruppo sono state arrestate per aver messo in scena, nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, un'esibizione non autorizzata contro Putin. Sono state processate e due di loro - la terza era stata tratta in fermo già prima che sfoderasse la chitarra - condannate per "teppismo premeditato, motivato da odio e ostilità verso la religione". Un reato che da noi verrebbe al massimo punito con una multa in denaro.

Dopo la condanna, Maria Aliokhina (24 anni) e Nadia Tolokonnikova (22 anni) sono state trasferite in due differenti colonie penali lontano da Mosca. La notizia, diffusa tramite Twitter e confermata dagli avvocati, ha fatto il giro del mondo provocando reazioni di sdegno. Maria ora si trova nella colonia penale di Perm, in Siberia, e Nadia in Mordovia. Sono in molti a definire la colonia penale della Mordovia come "la più brutale tra tutte quelle possibili" mentre risulta chiaro che si tratta di una misura per intimidire qualunque opposizione. Inutili i tentativi di far restare le due ragazze madri di due bambini piccoli nel carcere di Mosca, dove avevano scontato l'arresto preventivo, e dove avrebbero potuto vedere i loro figli.

NEL CORSO DI QUESTI MESI l'Osce, Amnesty International, capi di Stato e la comunità internazionale si sono mobilitati contro la carcerazione preventiva prima e la decisione del tribunale di Mosca poi. E nonostante la chiesa ortodossa faccia mostra della sua clemenza, Medvedev si dolga e Putin intervistato a Londra durante le Olimpiadi avesse auspicato una sentenza mite, il caso delle Pussy Riot passerà alla storia come una barbarie, l'ennesima, perpetrata sotto gli occhi allibiti degli osservatori internazionali che Putin sta cominciando a trattare come i suoi sudditi. Le Pussy Riot fuori dalla Russia sono il simbolo della libertà d'espressione negata. Ma in patria no, per lo più sono ignorate - lo dimostrano una serie di sondaggi ripetuti nel corso di questi mesi - perché le televisioni e i mezzi di informazione non parlano di loro. E quando si parla di loro lo si fa con fastidio perché sono considerate un gruppo di odiose blasfeme punite per le loro offese al Patriarca, non certo per le critiche alla politica. Per molti hanno meritato questa punizione. E proprio quando gli autori di South Park fanno indossare a Gesù una t-shirt con su scritto "Free Pussy Riot", ecco che arriva il solito fango. Sarebbe imminente l'uscita del film documentario sul gruppo e già sotterranea arriva l'accusa di aver fatto tutto per un tornaconto personale. Osservatori, indignazione e fango internazionale.

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