Quando la politica ci sembra ambigua, quando gli eventi ci appaiono troppo gravi per essere risolti, viene in soccorso la parola. E in soccorso viene un libro che ho divorato, si tratta di “Collusion” (Mondadori) scritto da Luke Harding, uno dei migliori reporter del mondo che scrive sul Guardian. Se il centro del libro è la campagna elettorale di Donald Trump e le presunte ingerenze del Cremlino, la forza di “Collusion” sta nell’essere un lavoro di indagine meticoloso e attuale, che riusciamo a leggere con il giusto distacco perché il racconto è come storicizzato dallo stile raffinato, denso, letterario.
Leggiamo di ciò che sarebbe accaduto solo pochi mesi fa, durante la più controversa delle campagne elettorali vissute negli ultimi decenni, come leggeremmo una spy story a sfondo politico scritta per intrattenere. L’interesse è tanto maggiore perché conosciamo molti dei protagonisti, e ci piacciono anche i personaggi che non abbiamo mai incontrato nelle cronache e di cui ci sembra impossibile aver ignorato l’esistenza. “Collusion” è un resoconto reale, eppure l’abilità di Harding sta nel riuscire a farci intuire i pensieri dei protagonisti. Christopher Steele, sin dalle prime pagine, ci sembra di conoscerlo da sempre, da quando giovanissimo va in Russia sotto copertura per l’MI6.
«Ha mai sentito parlare di me?», chiede Steele a Harding al loro incontro a Londra. Lui risponde che, no, non sa niente. Conosce la maggior parte della gente che, in città, si occupa di Russia, ma non Steele. «Ottimo», risponde Steele, «così mi piace».
Questo scambio introduce perfettamente Christopher Steele, ex agente segreto britannico, colui il quale ha redatto i rapporti sulla presunta interferenza russa nella campagna elettorale americana. Steele, dopo essersi congedato dal Sis, fonda la Orbis Business Intelligence Ltd che si occupa di spionaggio non ufficiale a Londra, capitale mondiale dell’intelligence privata. Prima per committenti repubblicani e poi democratici Steele aveva messo a disposizione la sua esperienza per dare sostanza all’accusa forse più grave per un presidente americano in carica: la collusione con una potenza straniera, in questo caso con la rivale di sempre, la Russia.
Harding presenta i fatti, ne traccia la genesi, non fa supposizioni ardite, non concede alcuno spazio a complottismi di sorta, ma riesce nell’ardita impresa di dare sostanza a ciò che sappiamo attraverso l’analisi del passato. Un passato a disposizione di tutti, un passato verificato e verificabile.
Nulla è segreto, abbiamo tutto sotto gli occhi, basta scovarlo e investire del tempo. Chiunque volesse leggere i report di Steele, per intenderci, potrebbe farlo anche su Buzzfeed, che li introduce così: «Questi report affermano che Trump ha legami profondi con la Russia» e, sottotitolo: «Un dossier redatto da una persona che ha affermato di essere un ex ufficiale dell’intelligence britannica, afferma che la Russia possiede informazioni compromettenti su Trump. Le accuse non sono verificate e il report contiene errori». Punto. Stop. Finito qui.
Per Trump è una caccia alle streghe, per noi è un lavoro necessario di ricerca, necessario per capire dove siamo partiti e dove arriveremo, perché i “memos” di Steele sono solo il pretesto per raccontare altro. Per parlare ad esempio di Paul Manafort, capo della campagna elettorale di Trump, che Harding aveva incontrato quando era andato in Ucraina per intervistare Viktor Janukovi?. Parlando di Manaford, Harding scrive: «A Kiev mi avevano detto che era lui ad aver introdotto la gestualità ammiccante nella campagna elettorale di Janukovi? e gli aveva suggerito di slacciare il primo bottone della camicia». E ancora: «Mi colpì il fatto che somigliasse a Janukovi?, il politico al quale prestava i propri servigi. O era il contrario?».
Ma a ben guardare anche Manafort è un pretesto, un pretesto per raccontare come funzioni l’informazione, come non si possa in alcun modo rendere falso ciò che già falso appare. Come ogni informazione negativa su chi non si serve di un’immagine immacolata non possa sortire alcun effetto.
E quindi si mettano l’anima in pace i detrattori di chi non è campione di legalità, di onestà, di autorevolezza, di competenza, di perizia: solo chi ha qualità può essere davvero screditato.