Putin come Stalin sulla legge anti-gay

Alla vigilia dei Mondiali di atletica di Mosca è stato sancito il divieto della propaganda omosessuale. Quanta tristezza nella smentita per il bacio sul podio tra due atlete russe, interpretato da tutti come sfida al potere

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Due mesi fa, a ridosso dei Mondiali di atletica di Mosca, passa alla Duma, con una maggioranza pressoché assoluta, l'estensione a tutto il territorio nazionale russo del divieto di propaganda omosessuale. Verranno puniti con una pena pecuniaria e con la carcerazione coloro che faranno "propaganda a relazioni sessuali non tradizionali". Apparentemente nulla di paragonabile allo staliniano articolo 121 che prevedeva cinque anni di detenzione per il reato (reato!) di omosessualità, ma il fatto che l'articolo 121 sia stato abolito solo nel 1993 mostra la necessità, venti anni dopo, di porre rimedio a quello che la società russa deve aver avvertito come un vacuum legislativo. Putin assicura che è solo un modo per tutelare le coppie etero, dal momento che la Russia starebbe vivendo un calo delle nascite.

Come spiegazione convince poco. Secondo il Levada Center, istituto di sondaggi indipendente e non governativo, invece, quasi il 65 per cento dei russi è d'accordo con la decisione del Parlamento e sono molti i russi che considerano l'omosessualità una malattia. La stampa russa minimizza e quella internazionale si scandalizza. Il Comitato olimpico internazionale accusa il governo russo di atteggiamento discriminatorio perché lo sport è integrazione, confronto, libertà. Sfida fisica e momento di esaltazione e non di mortificazione dei diritti umani.

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