C'era una volta Casaleggio Associati. Era il pilastro del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Pilastro, ma anche stanza dei bottoni. E per certi versi sembrava pure logico. Se il comico genovese era l’anima del Movimento, l’ideologo e organizzatore era invece un imprenditore geniale e visionario del Web: Gianroberto Casaleggio. Assieme al figlio Davide allora ventiduenne e altri due amici, Luca Eleuteri e Marco Bucchich, aveva fondato la Casaleggio Associati. Una piccola ditta di informatica che avrebbe sconvolto la scena politica italiana, rivoluzionando con l’uso della Rete la grammatica stessa della rappresentanza democratica.
Ma se Casaleggio Associati era il pilastro organizzativo del Movimento, il Movimento sembrava il pilastro economico di Casaleggio Associati. La dimostrazione? Da quando due anni e mezzo fa si è consumato il divorzio fra il M5s e l’Associazione Rousseau di Casaleggio junior, gli incassi della società sono crollati. Nel 2019 il fatturato di Casaleggio Associati superava i 2,2 milioni; nel 2021 era sceso a 689 mila euro, precipitando l’anno scorso a quota 559 mila. E anche se Casaleggio junior contesta l’esistenza di una relazione fra le questioni del Movimento e i conti della sua azienda («Chi fa analisi di bilancio su Casaleggio Associati identificando balzi in avanti di fatturato a seconda delle ondate di presenza istituzionale del Movimento ha una visione miope»), i numeri sono quelli che sono.
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Con il software concesso in comodato d’uso alla ditta fondata da Casaleggio senior, l’Associazione Rousseau fondata anch’essa da Casaleggio padre e figlio gestiva gli elenchi degli iscritti all’associazione e il sistema di democrazia diretta. Praticamente gestiva il partito, come depositario di ogni dato sensibile. Il tutto, come ovvio, non gratis. Gli eletti erano tenuti al pagamento di una quota. Poi è successo qualcosa. Il M5s che nel frattempo stava passando nelle mani di Giuseppe Conte e sosteneva il governo di Mario Draghi, un tempo considerato dai grillini alla stregua di un nemico pubblico numero uno, ha semplicemente rivendicato il diritto a mettersi in proprio. Per diventare un partito come tutti gli altri voleva liberarsi di gran parte della storia pregressa. A cominciare dall’abbraccio con Davide Casaleggio e la piattaforma Rousseau.

Rompere con il passato non è stato esattamente indolore. Dai colpi di fioretto si è arrivati in un amen alle sciabolate. Con quelli del Movimento che accusavano Rousseau di non volergli consegnare gli elenchi degli iscritti. E Rousseau che di rimando, per bocca di Enrica Sabatini, compagna di Davide Casaleggio, accusava i vertici del M5s di non voler pagare: «Un ex presidente del Consiglio che si candida a guidare un movimento che ha fatto dell’onestà la sua bandiera, cosa fa? Si rifiuta di rispettare gli impegni presi e danneggia dei lavoratori che da mesi e mesi attendono solo di essere pagati per le attività professionali che hanno svolto per il Movimento 5 Stelle».
Che qualcosa fosse cambiato dopo la morte prematura di Gianroberto Casaleggio, avvenuta nell’aprile 2016, era purtroppo chiaro da tempo. Nemmeno due anni dopo la scomparsa del cofondatore del M5s, alla vigilia delle trionfali elezioni del 2018, Beppe Grillo si era fatto il blog personale. Il comico era stato qualcosa più di un grande amico del guru del Web, che con la sua società aveva anche in passato gestito il sito dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Ma stavolta il suo blog l’aveva messo in piedi senza l’assistenza di Casaleggio Associati, come sarebbe stato naturale. Si era rivolto a happygraphic.com, un’agenzia internet di Roma fondata nel 2004 che fra i suoi clienti aveva pure l’Opera Romana Pellegrinaggi e il Vaticano. Il motivo non si è mai capito. Si può soltanto supporre che il rapporto di Grillo con Davide Casaleggio non fosse come quello che il comico aveva con il padre.
Se lui fosse rimasto in vita magari le cose sarebbero andate in un altro modo. Certo è che il divorzio ha cambiato la natura stessa del Movimento: ora un partito a tutti gli effetti. L’unica differenza rispetto agli altri è quella parola, «devoluzione», che compare nei bilanci. Nell’ultimo, in particolare, a fianco di una cifra non trascurabile: 5 milioni 551.805 euro. Sono i soldi versati dagli eletti e accantonati per essere restituiti alla collettività in varie forme. Il 28 dicembre del 2022, per esempio, è stata deliberata dagli iscritti la destinazione di un milione alle scuole pubbliche per l’acquisto di computer. Si vota sulla piattaforma Skyvote di Multicast srl, una società che lavora per Confcommercio, Federcalcio, la Rai, il Sole 24 Ore, Sky, il ministero della Difesa, la Camera, la Luiss, Cgil, Cisl e Uil, la Regione siciliana…
Ma la vera fine dell’innocenza per i grillini è stata certificata il 7 aprile 2022. Informa il bilancio del M5s che quel giorno la Commissione di Garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, composta da cinque magistrati e presieduta dal giudice della Corte dei Conti Amedeo Federici «ha deliberato l’iscrizione del Movimento 5 Stelle nel Registro nazionale dei Partiti politici». E qui comincia davvero un’altra storia. Non soltanto perché il M5s in Parlamento aveva votato contro il decreto legge del governo di Enrico Letta che ha istituito la Commissione. Ma perché con quel decreto, cui i grillini si erano fieramente opposti, è stato introdotto il nuovo sistema di finanziamento pubblico dei partiti con la possibilità dei cittadini di destinare alle formazioni politiche il 2 per mille dell’Irpef. Nonché il beneficio, per chi finanzia un partito fino a 30 mila euro l’anno, di detrarre il 26 per cento della cifra regalata alla politica dalla denuncia dei redditi. E il tesoriere del partito a 5 stelle, Claudio Cominardi, può con sollievo mettere a verbale nel bilancio che finalmente i grillini non saranno più figli di un Dio minore. Potranno cioè accedere pure loro dal 2023 al mitico 2 per mille e ai benefici fiscali previsti per i finanziatori privati. Che dunque spetteranno anche a deputati e senatori del M5s.
Non sarà un beneficio irrilevante, considerato che l’introito dello scorso anno, pari a 6,1 milioni di euro, è rappresentato «quasi integralmente dalle contribuzioni dei parlamentari e dei consiglieri regionali del M5s». E considerando che i versamenti superiori a 30 mila euro sono piuttosto rari, significa un risparmio fiscale di circa un milione e mezzo.
Niente male. Come abbiamo già raccontato nelle puntate precedenti, ormai tutti i partiti si finanziano prevalentemente con i contributi degli eletti. Ma il numero degli eletti è stato ridotto di un terzo, e quindi c’è un terzo di entrate in meno. Qualcuno cerca di recuperare nel modo meno elegante, cioè dirottando al partito un po’ delle risorse che dovrebbero servire a retribuire i collaboratori. Riducendone il numero. Un anno fa scoppia un caso anche nei gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle quando arriva la notizia che due pezzi da novanta del Movimento, quali sono l’ex vicepresidente del Senato Paola Taverna e l’ex capo politico del partito Vito Crimi, sono stati assunti a 70 mila euro lordi l’anno ciascuno come consulenti dei gruppi di Montecitorio e palazzo Madama. Che da oltre 330 eletti all’inizio di marzo 2018 si sono ridotti il 25 settembre 2022 a meno di un quarto: 80 in tutto. Il quotidiano online Open di Enrico Mentana racconta che la cosa non è andata giù ad alcuni, occupati lì da anni, che hanno dovuto fare le valigie per scarsità di lavoro. Ma soprattutto di fondi che invece si sono trovati, evidentemente, per recuperare i due ex parlamentari non ricandidati causa limite dei due mandati previsto dallo statuto. Da sottolineare il fatto che la collaboratrice parlamentare Paola Taverna è attualmente numero due del partito dopo Giuseppe Conte, con l’incarico di vicepresidente vicaria. Indispettito dai toni usati dal quotidiano la Repubblica nel riportare la notizia delle due assunzioni, il senatore del M5s Ettore Licheri ironizza: «Non avendo a disposizione pregiudicati o condannati da sistemare siamo stati costretti a chiedere una collaborazione a due persone perbene. Con in più un profilo specializzato e di esperienza politica ultradecennale. Cose che capitano».
Già. Ma anche al contrario. Nel 2013 Fabio Massimo Castaldo era collaboratore parlamentare di Paola Taverna. Un anno dopo è stato eletto all’Europarlamento, di cui è stato anche vicepresidente. Cose che capitano.