Il partito di Umberto Bossi con i conti sequestrati. E quello per Salvini premier con i bilanci in rosso. Entrambi sono oggetto di procedimenti giudiziari. E tutti e due prendono i fondi del 2 per mille

«Società priva di vitalità economica che viene utilizzata per assorbire attività in sofferenza, lasciando contemporaneamente una good company in grado di svolgere un’azione efficiente e profittevole». Questa è la definizione di «bad company», per il dizionario Treccani di Economia e Finanza. Ma che cosa c’entra questo con la Lega? C’entra eccome.

 

Nel 2017 la tempesta giudiziaria sulla presunta scomparsa di 49 milioni di fondi del partito sta toccando l’apice. I magistrati arrivano a sequestrare i conti del fondatore, Umberto Bossi. Urge correre ai ripari. Così alla fine del 2017 il segretario federale Matteo Salvini fonda un partito nuovo di zecca. Che si chiama, caso unico in uno scenario politico ormai dominato dal personalismo ma nel quale nessuno ha finora avuto il coraggio di spingerlo alle estreme conseguenze, con il suo nome: «Lega per Salvini premier». Assai impegnativo.

 

Ma la mossa serve a uno scopo ben preciso. Sganciarsi dalla rogna dei 49 milioni lasciandola sul groppone della vecchia Lega Nord per l’Indipendenza della Padania. La bad company, appunto. Nel suo bilancio figurano infatti debiti per 18 milioni di euro, cifra pari alla differenza fra i famosi 49 milioni che secondo gli inquirenti sarebbero evaporati e le somme già sequestrate «sui conti correnti, delle società partecipate e delle singole articolazioni territoriali» della vecchia Lega, come precisa la nota integrativa.

 

Ma la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania è tutt’altro che una semplice bara fiscale. Stipendia ancora tre dipendenti e ha in banca 648 mila euro. Ogni mese la nuova Lega le paga l’affitto della sede di via Carlo Bellerio. Che è di proprietà di Pontida Fin, rimasta in carico al partito bossiano assieme all’altra società Fingroup. Ma soprattutto ci sono i soldi del 2 per mille. Perché nonostante la Lega operativa sia quella di Salvini, anche la vecchia Lega Nord continua a incassare denari pubblici. Ci sono ancora 38.010 persone che le destinano il contributo, per un introito di 441.688 euro. Sono addirittura circa 4.300 più dei 33.720 che l’anno scorso hanno deciso di finanziare Forza Italia.

 

La situazione è oggettivamente singolare. Siccome le Leghe sono due, entrambe hanno diritto al 2 per mille. In tutto 18,2 milioni, da quando è entrato in vigore il nuovo regime: 10,5 la Lega di Salvini e 7,7 quella di Bossi. E la parabola salviniana, dal 14 per cento dei consensi nel 2015, al record del 34 per cento nel 2019, fino al 10 per cento scarso di oggi si delinea chiaramente nei numeri dei contribuenti. Nel 2015 quelli che supportavano l’unico Carroccio esistente erano 138.941. All’epoca delle elezioni europee con Salvini al vertice della popolarità, erano diventati 338.201 per le due Leghe. Ma nel 2022 si è tornati mestamente ai livelli del 2015: in tutto 137.677, sommando i 38.010 del vecchio Carroccio ai 99.667 di Salvini. Più di 200 mila contribuenti, il 60 per cento, perduti in tre anni. Un disastro.

 

E dire che servirebbero come il pane. Mentre la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, nonostante la grana dei 49 milioni, chiude i bilanci in utile (305 mila euro nel 2021 e 162 mila l’anno scorso), la Lega per Salvini premier ha archiviato il 2022 con un buco di quasi 4 milioni. Colpa della campagna elettorale, con i soldi che non bastano mai.

 

Il gettito del 2 per mille, 1,2 milioni contro i 3,1 del momento d’oro, non copre neppure il 10 per cento delle spese. E il resto? Per le campagne elettorali qualche azienda un aiutino lo offre. Senza esagerare, però. Spicca nel 2022 la generosità da 100 mila euro del Monte Finanziario Europeo, società di proprietà di Martina e Pietro Luigi Polidori, figli ed eredi dell’attività di Francesco Polidori: fondatore del Cepu e dell’università telematica e-Campus nonché patron della Link Campus university. Non meno prodighi Alessandro e Vincenzo Galantuomo, proprietari dell’istituto Irsaf (50 mila euro) e di Orienta Campus (altri 50 mila), struttura che supporta l’attività della e-Campus di Polidori.

 

La verità è che la Lega, come ormai tutte le formazioni politiche, si finanzia soprattutto con i contributi dei propri eletti. E il partito di Salvini dispone anche di margini più ampi rispetto agli altri partiti. La stragrande maggioranza dei parlamentari leghisti ha rinunciato ai collaboratori, con il risultato che il plafond esentasse di 3.690 euro mensili alla Camera e 4.180 al Senato che sarebbe destinato alla loro retribuzione è disponibile anche interamente per essere girato al partito.

 

Si spiega così la valanga di denaro che dagli eletti è piovuta nelle casse del tesoriere Alberto Di Rubba? Parliamo di quasi 6 milioni e mezzo nel 2022, il doppio di un partito come il Pd che in quello stesso anno aveva più parlamentari della Lega. C’erano le elezioni, d’accordo. E gli onorevoli leghisti sono stati spremuti fino all’inverosimile. Molti hanno versato più di 50 mila euro.

 

Dovrebbero contribuire anche i consiglieri regionali. Ma nel bilancio se ne trovano poche tracce. Basta dire che lo scorso anno il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana risulta aver versato appena 3.000 euro. Probabilmente anche lui stava sulle spese, per la campagna elettorale delle regionali. Poi ci sarebbero i soldi dovuti dai leghisti che occupano posti di sottogoverno. Come quelli nelle società pubbliche. Ma qui si apre un’altra storia, che comincia più di cinque anni fa.

 

Ai giudici il commercialista Michele Scillieri ha detto di sapere che i nominati per conto della Lega devono versare al partito una quota dei loro emolumenti. Secondo i magistrati, Scillieri sarebbe fra i protagonisti di una maleodorante vicenda che coinvolge gli uomini con compiti di gestione delle risorse del partito più vicini a Salvini. Mentre scriviamo la vicenda giudiziaria non è ancora conclusa. Sono già fioccati però a carico dei protagonisti, fra patteggiamenti e condanne, diversi anni di carcere. Scillieri, per esempio, ha patteggiato una pena di 3 anni e 4 mesi. E non è affatto un personaggio marginale.

 

È lui che tiene a battesimo il nuovo partito «Lega per Salvini premier», che all’inizio ha sede non in via Bellerio, bensì in via Privata delle Stelline, numero 1: indirizzo dello studio di Scilleri. Quando la nuova Lega nasce alla fine del 2017, il suo tesoriere è lo stesso della vecchia Lega Nord. Ossia Giulio Centemero, presidente della ex Radio Padania, incidentalmente cugino della ex deputata di Forza Italia Elena Centemero. Un anno dopo, il 19 ottobre 2018, Centemero partecipa a una società fra professionisti con altri tre commercialisti. Sono Alberto Di Rubba, Andrea Manzoni e Stefano Borghesi. Di Rubba e Manzoni hanno il 48% ciascuno mentre Borghesi e Centemero controllano una quota simbolica del 2%. Infatti la srl si chiama solo Manzoni & Di Rubba. Dei quattro, Borghesi e Centemero sono parlamentari. Ma i loro soci d’affari non sono meno importanti. Di Rubba è direttore amministrativo della Lega in Senato e gestisce la Pontida Fin. Ha anche un incarico regionale di peso: presidente della Lombardia Film Commission. Alberto Manzoni invece è revisore contabile della Lega alla Camera, amministratore delegato della ex Radio Padania e Fingroup, oltre che liquidatore di Editoriale Nord. Ma Di Rubba e Manzoni hanno anche una società comune al 50 per cento: Partecipazioni srl. Manzoni è poi nel collegio sindacale della Dea, una società della famiglia di Rubba, assieme a Centemero. Insomma, il gruppo che governa le finanze della Lega è ben affiatato non solo dai legami politici.

 

La redazione di Radio Padania nella sede storica della Lega Nord a Milano, in via Bellerio

 

Un bel giorno succede che la Fondazione Lombardia Film Commission di Di Rubba decide di acquistare un capannone in una zona a Nord di Milano. Prezzo: 800 mila euro. Ma l’affare puzza. Il capannone viene venduto da una società, Immobiliare Andromeda, che l’ha comprato da quello che i magistrati ritengono un prestanome. Le azioni di Andromeda per giunta sono in una fiduciaria, ma poi salta fuori che il proprietario è Fabio Giuseppe Barbarossa. Non un pro-pro-pronipote del Federico II sconfitto da Alberto da Giussano alla battaglia di Legnano. Bensì il cognato di Scilleri. La tempesta giudiziaria su questa vicenda, e sugli intrecci a suo tempo rivelati da L’Espresso, è inevitabile.

 

Barbarossa patteggia 2 anni e un mese. In primo grado Manzoni si becca 4 anni e 4 mesi. Invece la condanna per Di Rubba è a cinque anni. Ma ciò non scoraggia Salvini, che lo nomina tesoriere al posto di Centemero, peraltro a sua volta nei guai per finanziamento illecito: 250 mila euro versati dal costruttore Luca Parnasi, quello che avrebbe dovuto realizzare lo stadio della Roma calcio, alla associazione Più Voci ritenuta dagli inquirenti una propaggine leghista. Il 27 ottobre la procura ha chiesto per lui 3 anni e 4 mesi di reclusione. Che comunque è sempre tesoriere della vecchia Lega Nord.

 

Quanto alle rivelazioni di Scillieri sulla presunta gabella imposta per gli incarichi di sottogoverno, le tracce sono labili per non dire inesistenti. Almeno quelle alla luce del sole. Nel 2022 c’è un solo manager di spicco di una società pubblica, ex parlamentare leghista, che ha contribuito al partito. Con 5 mila euro. Il suo nome: Trifone Altieri. Bocciato alle elezioni del 2018, è stato collocato alla presidenza di Invimit, la società di Stato per la valorizzazione degli immobili pubblici. Poltrona che occupa ancora.