Sostenibilità
27 novembre, 2025Articoli correlati
Le aziende fanno passare in sordina le pratiche green, gli attivisti cercano strategie per evitare lo scontro. Mentre tra i giovani l’impegno contro l’inquinamento aumenta
L’ambientalismo? Si fa ma non si dice. Il cambio di strategia si notava da tempo ma è diventato evidente in un articolo di Carlo Ratti per Bloomberg. Dove l’urbanista, che ha appena chiuso con un risultato record la sua Biennale di Architettura, spiega che «politiche controverse» come l’istituzione delle “zone 30” per rallentare il traffico e rendere le strade più accoglienti per pedoni e biciclette possono essere sostituite da «modifiche nella progettazione delle strade» che, oltre a evitare contrapposizioni, hanno maggiore effetto sulla velocità degli automobilisti. Uno studio condotto dal Senseable City Lab del Mit di Boston, dove Ratti insegna, è arrivato alla conclusione che allargare i marciapiedi e rialzare le strisce pedonali sono investimenti migliori da parte delle amministrazioni pubbliche. E se è vero che strade strette tra gli edifici spingono l’automobilista ad alzare il piede dall’acceleratore, lo stesso effetto si ottiene nelle strade fiancheggiate da alberi.
Nello stesso filone di “ambientalismo ragionevole” sono state le letture più positive della recente presa di posizione di Bill Gates. Il suo memorandum sulle “Tre scomode verità riguardo al clima”, pubblicato come un viatico per la Cop30 di Belem, ha spaccato l’opinione pubblica mondiale. Donald Trump ha applaudito fragorosamente e ha interpretato come un rinnegamento della «bufala del cambiamento climatico», l’invito di Gates a considerare «gli investimenti per la salute e il benessere» nei Paesi in via di sviluppo almeno altrettanto importanti di quelli necessari «per raggiungere le emissioni zero». In effetti molti ambientalisti hanno dato ragione al Presidente degli Usa, accusando Gates di tradimento. Altri invece hanno visto in quella dichiarazione una sorta di “dissimulazione onesta”: in fondo combattere la fame e le malattie provocate dal riscaldamento globale richiede interventi che comportano comunque una riduzione dell’inquinamento. Purtroppo questo approccio è già stato bocciato da tempo: gli studi di economisti come Nicholas Stern e William Nordhaus hanno dimostrato che affrontare i singoli effetti del riscaldamento globale costa di più ed è meno efficace che eliminarne la causa umana, cioè l’inquinamento da fonti fossili.
Che la musica fosse cambiata comunque lo si era notato da tempo. Dal mondo anglossassone sono arrivati due neologismi: “greenhushing” e “quiet activism”. Il primo è, in un certo senso, il contrario del greenwashing: non più aziende che si ammantano di un ecologismo smentito dai fatti ma industrie che tengono in sordina i comportamenti e le strategie amiche dell’ambiente. Va nella stessa direzione il “quiet activism”, che promuove buone pratiche locali e individuali in risposta ai clamorosi exploit di organizzazioni come Fridays for Future ed Extinction Rebellion.
Il basso profilo scelto da industrie e cittadini è anche una risposta di sopravvivenza a un fenomeno che Beppe Severgnini sul Corriere della Sera ha sintetizzato in una domanda: «Gli ambientalisti sono diventati antipatici?» Non solo sui giornali o nei talk show ma anche a cena con gli amici ogni discorso a favore dell’ambiente rischia di innescare un’esplosione di animosità. Meglio disinnescarla in partenza con strategie di “dissenso costruttivo” sempre più necessarie in questo tempo di opinioni polarizzate e di disinformazione imperante. L’ambientalista Tommaso D'Alessio su Sapereambiente consiglia di «cercare un terreno comune», sforzarsi di «comprendere preoccupazioni e paure» e di «presentare soluzioni e azioni concrete invece di concentrarsi esclusivamente sui problemi»: ma tutto questo senza prendersela troppo perché «è sicuramente una fatica bestia, e si può fare finché abbiamo le forze per farlo, altrimenti meglio lasciar stare, e andare avanti». Su Bikeitalia Andrea Veronese affronta in particolare il “bikelash”, l’astio verso bici e ciclisti che si scatena a ogni annuncio di pista ciclabile. I consigli? «Coinvolgere i cittadini prima di iniziare un progetto», non parlare dei vantaggi in cifre ma con le storie di persone, «il genitore che accompagna i figli a scuola in bici, l’anziano che finalmente può camminare tranquillo su un marciapiede largo». E poi «essere trasparenti», parlando dei miglioramenti ma anche dei disagi che potranno esserci all’inizio e, cosa assai difficile, riuscire a «far parlare la maggioranza silenziosa, quella che apprezza i miglioramenti ma non commenta sui social».
E che ad apprezzare i cambiamenti amici dell’ambiente sia davvero una maggioranza lo dimostrano studi recenti sui comportamenti individuali. Secondo un sondaggio commissionato da Ener2Crowd, piattaforma di investimenti sostenibili, il 65% degli italiani ha notato un calo dell’attenzione dei media verso l’emergenza climatica, ma la percentuale di chi si impegna per comportarsi in modo amico dell’ambiente è salita del 15% rispetto al 2024, arrivando a un’ampia maggioranza (il 62%). Giovani (25-44 anni) e giovanissimi (under 25) sono i più attivi, ma anche tra i meno interessati, gli over 55, la percentuale di impegno sfiora comunque il 50 per cento. I risultati si vedono, dalle discariche alle strade: Corepla (Consorzio per il recupero della plastica) ha appena annunciato che in Italia si ricicla l’86 per cento dei rifiuti e il 75,6 degli imballaggi. E il rapporto sulla mobilità curato dall’Istituto superiore di studio e ricerca per i trasporti, accanto ai dati sulle automobili degli italiani (per 60 milioni di abitanti ci sono 41,3 milioni di vetture, che restano parcheggiate per oltre il 95% della giornata e costano a ogni famiglia mediamente 334 euro al mese) calcola l’aumento degli spostamenti in bicicletta: dal 4,1% del 2024 si passa al 5,2% nel primo semestre 2025. «Sembra un incremento modesto, ma in realtà significa una crescita quasi del 27% in un solo anno», calcola Bikeitalia. Però tenetelo per voi.
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