Greenpeace a processo negli Stati Uniti: portata in tribunale per le sue battaglie ambientaliste, ora rischia la chiusura per bancarotta

Le proteste per la costruzione dell'oleodotto Dakota Access
Le proteste per la costruzione dell'oleodotto Dakota Access

Gli attivisti di tutto il mondo denunciano che la libertà di espressione è messa a repentaglio da quando Trump è stato eletto presidente

Nel tribunale di Mandan, North Dakota, si sta svolgendo un processo che potrebbe ridefinire i confini della libertà di espressione negli Stati Uniti durante il secondo mandato di Donald Trump. La compagnia energetica Energy Transfer, responsabile del contestato oleodotto Dakota Access, ha citato in giudizio Greenpeace, accusando l'organizzazione di aver orchestrato le proteste che hanno bloccato il progetto e causato ingenti perdite finanziarie. Le manifestazioni, animate della tribù Sioux di Standing Rock tra aprile 2016 e febbraio 2017, hanno acceso il dibattito sulla tutela ambientale e sui diritti delle popolazioni indigene, residenti nella zona dove è stata prevista la costruzione dell'oleodotto. Secondo Energy Transfer, Greenpeace avrebbe diffuso disinformazione, addestrato migliaia di manifestanti e fornito loro supporto logistico, contribuendo così ai ritardi e a un danno d’immagine per l’azienda (oltre che ad aver rovinato i rapporti con gli investitori). 

Le proteste degli attivisti contro la costruzione dell'oleodotto Dakota Access, North Dakota

Greenpeace respinge le accuse, rivendicando il proprio impegno nella protesta pacifica e negando qualsiasi responsabilità per i ritardi nella costruzione dell’oleodotto. L’organizzazione ambientalista avverte che una sentenza sfavorevole potrebbe creare un precedente pericoloso, minando la libertà di espressione negli Stati Uniti. Un problema per la manifestazione del pensiero, che potrebbe trasformarsi in difficoltà concrete per l’organizzazione ambientalista se dovesse perdere lo scontro in tribunale: il costo da pagare - di circa 300 milioni di dollari - la porterebbe alla bancarotta negli Stati Uniti. L’amministrazione Trump, già accusata di reprimere il dissenso, sostiene invece che il suo obiettivo non è limitare il dibattito sul clima, ma contrastare quelli che definisce “estremisti ambientali”, decisi a ostacolare la produzione di petrolio e gas. Dopo oltre tre settimane di udienze, il processo si avvia alla conclusione. Gli attivisti per i diritti civili seguono con attenzione ogni sviluppo, consapevoli che il verdetto potrebbe segnare un punto di svolta nella giurisprudenza americana sulla libertà di espressione.

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