Non illudetevi, al Sud è già Grande sete

Il Nord di nuovo sott’acqua e nel Mezzogiorno torna l’allarme per la siccità. Fondi in aumento ma l’Ispra segna in rosso la Sicilia: invasi a metà capienza e scorte a meno di un terzo

L'acqua che ingrossa i fiumi, li fa esondare, allaga case e interi territori. Come è nuovamente accaduto in Toscana e in Emilia Romagna. L’acqua che scarseggia, che lascia a secco i rubinetti di casa, che inaridisce campi e colture, come ormai capita quasi tutte le estati in varie zone del Paese. Fenomeni opposti, eppure due facce della stessa medaglia targata cambiamento climatico e “appesantita” dall’inadeguatezza e dalla scarsa manutenzione di argini, invasi, dighe, acquedotti. L’emergenza che diventa quotidianità. Siamo soltanto a marzo, il mese della giornata mondiale dell’acqua (22 marzo), e i bollettini degli osservatori sugli utilizzi idrici indicano situazioni già da allarme rosso.

 

È il caso della Sicilia, evidente dalla cartina dell’Italia pubblicata sul sito dell’Ispra (Istituto governativo per la protezione e la ricerca ambientale), che riferisce sullo “stato di severità idrica a scala nazionale” aggiornata al 7 marzo scorso: il Nord è tutto verde, colore che indica una situazione normale, il Centro e la Sardegna sono giallo ocra (severità media), stesso colore per il Sud. Ma qui è specificato che la tendenza è in peggioramento e la Sicilia è rosso fuoco (severità alta). Attualmente gli invasi dell’isola sono sotto il 50 per cento della loro capacità, ma la scorta di metri cubi di acqua utilizzabili non arriva nemmeno a un terzo. E già fioccano le ordinanze comunali di razionamento e di risparmio idrico. In alcune province si rischia di bissare la “Grande sete” dell’estate scorsa che ha costretto la popolazione a fare la fila con le taniche in mano davanti alle autobotti della protezione civile. Scene da terzo mondo. Dire però che siamo all’anno zero sarebbe sbagliato. Qualche passo in avanti è stato fatto e gli investimenti nel comparto sono aumentati. Secondo il rapporto della Fondazione Utilitatis, quest’anno raggiungeranno 80 euro annui pro-capite, 8 euro in più rispetto al 2024 e 15 euro in più rispetto al 2023. Gli investimenti complessivi nel biennio 2024-25 si attesteranno a 13,2 miliardi di euro (contro i 7,1 del triennio 2021-2023). complici anche i fondi del Pnnr. Il target di efficientamento di 14mila chilometri di rete di distribuzione, ai fini della riduzione della dispersione di acqua potabile, è stato raggiunto prima della scadenza fissata. E adesso si punta a modernizzare 45mila chilometri km di rete idrica entro il 31 marzo 2026, con l’installazione di contatori digitalizzati e tecnologie innovative in grado di monitorare e individuare i punti delle perdite.

 

A dicembre scorso è stato stanziato un altro miliardo di euro. L’impatto migliorativo sugli acquedotti colabrodo (ogni cento litri “trasportati” ne perdiamo più di quaranta, secondo i dati Istat dello scorso anno), ancora non è stato calcolato. Ma sicuramente c’è. «Non mi stupirei se le minori perdite si aggirassero intorno al miliardo di metri cubi», osserva Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, l’Associazione dei consorzi di bonifica. Tuttavia non ci si può fermare, servono nuove infrastrutture. «In Italia ogni anno le precipitazioni portano circa 300 miliardi di metri cubi d’acqua, ma ne riusciamo a stoccare soltanto l’11 per cento. Tutto il resto si perde. L’Anbi ha elaborato un “piano invasi” per la creazione di nuovi serbatoi, così da portare la percentuale di stoccaggio dell’acqua piovana intorno al 30-40 per cento». Alluvioni e siccità hanno causato 8,5 miliardi di danni all’agricoltura nel 2024, secondo le stime della Coldiretti. «Non possiamo limitarci a inseguire le emergenze, serve una strategia per la gestione dell’acqua che comprenda la realizzazione di nuovi invasi a pompaggio, la manutenzione dei corsi d’acqua e una più efficiente distribuzione delle risorse idriche. Solo così potremo affrontare le sfide del clima», spiega il segretario generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo.

 

Il Libro Bianco “Valore acqua per l’Italia”, arrivato alla sesta edizione e presentato nel convegno organizzato a Roma pochi giorni fa da European House - Ambrosetti, elenca gli interventi urgenti, come quello relativo ai depuratori e al trattamento delle acque reflue: «Ancora oggi 1,3 milioni di italiani vivono in 296 comuni privi del servizio di depurazione, di cui oltre 400mila al Sud (3 per cento della popolazione regionale) e quasi 640mila nelle Isole (9,9 per cento)», si legge nel report. Altro capitolo su cui lavorare è l’efficientamento delle dighe: «Mediamente il 14 per cento dei volumi idrici delle grandi dighe non viene sfruttato. Inoltre, i grandi invasi sono infrastrutture vetuste, con un’età media di 58 anni e picchi fino a 92 in Liguria, e oltre 80 in Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia». 

 

Intanto aumentano i fan dei dissalatori. L’acqua di mare opportunamente dolcificata per l’Italia sarebbe un serbatoio inesauribile. È una strada percorsa da tempo in Spagna che con 800 dissalatori è sul podio in Europa: il più grande si trova a Barcellona, è attivo dal 2009, produce fino a 200mila metri cubi d’acqua potabile al giorno, utilizzati da un milione e trecentomila persone. In Italia, invece, perplessità ambientali e di costo hanno finora frenato la costruzione dei dissalatori che attualmente coprono soltanto lo 0,1 per cento del fabbisogno idrico. Le nuove tecnologie attenuano gli aspetti critici e il decreto siccità del 2023 ha semplificato alcune norme. E così, nonostante le immancabili polemiche, sono ai nastri di partenza due grandi impianti: il dissalatore dell’Isola d’Elba e, nel 2026, quello di Taranto. Quest’ultimo diventerà il più grande d’Italia, con una portata di 60mila litri d’acqua al giorno in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 385mila persone, un quarto della popolazione della penisola salentina. Si muove anche la Sicilia: la Regione ha annunciato un investimento di 290 milioni di euro per la costruzione di cinque impianti di dissalazione nell’isola.

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