Sei anni fa veniva approvata la legge Brunetta. Ma oggi le assenze nel settore pubblico sono di nuovo ?in crescita. Mentre ?calano nel privato

Schermata-2015-02-04-alle-16-11-27-png
Undici miliardi e 189 milioni. Euro più euro meno, tanto è costato alle casse dello Stato, solo nel 2014, l’assenteismo nel pubblico impiego. Un fenomeno che era calato dopo l’introduzione delle norme volute da Renato Brunetta, già ministro della funzione pubblica di Silvio Berlusconi. Ma che è riesploso dal 2012, tornando ai livelli di prima: lo dicono i numeri dell’Inps, l’istituto di previdenza che dal marzo del 2011 riceve per via telematica i certificati medici dei dipendenti pubblici.

Numeri che “l’Espresso” è in grado di pubblicare in anteprima. E che rivelano come lo Stato stia perdendo la partita nel gioco a nascondino con i furbetti del badge. Smentendo i successi strombazzati su questo fronte, proprio nei giorni scorsi, dal governo di Matteo Renzi.

Nell’ultimo week-end di gennaio il ministero della Funzione pubblica ha finalmente aggiornato il suo sistema di monitoraggio mensile delle assenze nelle pubbliche amministrazioni, a lungo fermo all’imbarazzante data di agosto. E i giornali di lunedì 2 febbraio hanno rilanciato cifre che testimonierebbero un risultato trionfale per il ministro Marianna Madia: «È stato un 2014 di cali per le assenze nella pubblica amministrazione». Ancora: «Da gennaio a dicembre il confronto con l’anno precedente non lascia dubbi: in tutti i mesi compare il segno meno».

Di più: «Il 2014 si chiude con un ribasso del 5 per cento dei giorni persi per motivi di salute, a cui si aggiunge una flessione del 2,9 per tutti gli altri tipi di assenza, dai permessi per congedo ai corsi di aggiornamento». Quale sia l’attendibilità di queste cifre lo rivelano però gli stessi documenti ministeriali. Si legge a pagina 3 del fascicoletto relativo allo scorso dicembre che a comunicare i risultati sulle assenze sono state 4.434 amministrazioni. Ora: dal catasto di Caltanissetta all’ambasciata a Washington, gli uffici pubblici sono 21.425. Quelli che hanno fornito informazioni al quartier generale di corso Vittorio Emanuele II sono dunque poco più di un quinto del totale. Inoltre all’appello mancano in blocco le 9.022 amministrazioni scolastiche.

Da Nord a Sud, chi si ammala di più
Schermata-2015-02-04-alle-15-23-03-png

La situazione, insomma, non è affatto sotto controllo. E i primi a saperlo sono proprio i vertici del ministero. All’inizio di aprile 2014 il sottosegretario alla pubblica amministrazione, Angelo Rughetti, si è presentato davanti alla commissione Affari sociali di Montecitorio per un’audizione sull’attività dei medici incaricati degli accertamenti sugli assenti (oggi dei dipendenti pubblici si occupano le Asl, ma con la riforma in discussione in parlamento il compito dovrebbe passare all’Inps). Il sottosegretario ha anche distribuito ai deputati una tabellina. Che “l’Espresso” è riuscito a recuperare. Riporta, mese per mese, i dati sulle assenze per malattia: dal dicembre 2011, subito dopo l’uscita di Brunetta dal ministero, alla fine del 2013 su 25 dati ben 10 indicano un incremento rispetto allo stesso periodo del precedente anno.

Ma anche lo scenario del 2014 si fa un po’ diverso se dai dati campionari del ministero si passa a quelli reali dell’Inps, aggiornati al 15 gennaio 2015. Tra il 2012 e lo scorso anno le assenze per malattia tra i dipendenti pubblici hanno conosciuto un’escalation. Tutte le voci risultano in crescita: il numero dei certificati, che possono essere più di uno per ogni assenza (più 9,39); quello delle malattie (più 8,44); quello delle giornate perse, arrivate a quota 30.845.920 (più 7,96); quello di chi dichiara forfait nei giorni più sospetti come il lunedì (più 3,36 per cento) e il venerdì (più 6,76). L’assenteismo pubblico (e che di questo si tratti, almeno in molti casi, ci sono pochi dubbi: il 40,1 per cento delle malattie si manifesta alla fine o all’inizio della settimana) ha dunque ripreso a galoppare. Ma non solo. È tornata pure ad allargarsi la forbice con i dipendenti privati, che fanno registrare una diminuzione di tutti gli indicatori: certificati (meno 2,86), malattie (meno 4,44), giornate perse (meno 2,13).

Inchiesta
Pioggia di bonus per i manager del pubblico impiego
5/2/2015
«Chi vuole, lavora; chi no, se ne astiene», ha detto una volta Sabino Cassese a proposito del pubblico impiego. I dati dell’Inps sembrano dare ragione allo studioso. Alla fine, il numero pro-capite di giornate perse ogni anno per malattia è passato da 8,42 nel 2011 a 9,22 nel 2013, con un incremento del 9,5 per cento. E il trend verrà confermato quando arriveranno tutti i dati sul 2014: secondo quanto risulta a “l’Espresso”, il numero delle giornate perdute è infatti cresciuto ancora (di 60.011 unità), mentre con il blocco del turnover l’esercito dei dipendenti non può che essersi ulteriormente assottigliato.

Ma i numeri dell’assenteismo non si fermano qua. Nel mondo del pubblico impiego le scappatoie per chi non ha voglia di guadagnarsi lo stipendio sono innumerevoli: tra permessi (ci sono pure quelli «per gravi calamità naturali»), congedi e aspettative di vario tipo al ministero ne hanno contate 38. E una parte di dipendenti pubblici non lesina nel loro utilizzo. I dati del ministero dicono che nel 2013 le assenze pro-capite per malattia sono arrivate a quota 10,31 giorni e quelle per “altri motivi” a 11,95. Se il rapporto tra le due grandezze fosse rimasto invariato, si potrebbe stimare per il 2014 un totale di quasi 67 milioni di giornate perse. Vorrebbe dire che, in media, nell’arco dell’anno, per 20 volte quando al mattino suona la sveglia il dipendente pubblico infila la testa sotto il cuscino e continua a dormire.

In media, perché ovviamente c’è chi invece lavora eccome. Il dato (leggermente sottostimato, perché calcolato sul numero dei dipendenti del 2013, che nel 2014 risulterà, come abbiamo visto, per forza in calo) si avvicina molto a quello calcolato dalla Ragioneria generale dello Stato, che parla di 19 giornate di assenza retribuita. «Non disponiamo di dati aggiornati», mette le mani avanti il segretario generale della Cgil Funzione pubblica, Rossana Dettori: «In ogni caso, se ci sono fenomeni sbagliati di utilizzo della malattia, oggi le amministrazioni dispongono degli strumenti necessari a intervenire».

ASSENZE PER MALATTIA

Gli episodi di cronaca su casi estremi di assenteismo tuttavia non mancano. A Torino la Guardia di Finanza ha scoperto una dipendente pubblica che risultava in malattia da oltre un anno e in realtà aveva una seconda attività come insegnante di aerobica. A Boscoreale, nel vesuviano, un sistema di telecamere puntato sull’ingresso del comune ha permesso di smascherare gli assenteisti cronici: erano 125 su 170. Allo Iacp di Messina sono finiti sotto processo 81 furbetti del badge su 96 impiegati.

Nella sede di Rovigo della Regione Veneto 170 ore di filmati sono servite a incastrare 98 lavoratori (parola davvero grossa, in questo caso) su 115. A La Spezia le Fiamme gialle hanno scoperto sei addetti alla commissione tributaria provinciale che se la filavano a casa ogni mattina in tutta tranquillità, anche perché della combriccola faceva parte pure il direttore dell’ufficio. A Castellammare di Stabia la Procura di Torre Annunziata ha accusato 19 spazzini di aver totalizzato 23 mila ore di pausa caffè. Ma il record l’ha stabilito una dipendente del policlinico Sant’Orsola di Bologna: inventando, tra l’altro, due gravidanze fantasma è riuscita a prendere nove anni di stipendio lavorando sei giorni in tutto. È stata condannata a due anni, senza condizionale.

Appena arrivato al ministero, Brunetta aveva deciso di rendere dura la vita ai ladri di stipendi pubblici. Colpendoli nel portafoglio e nella possibilità di utilizzare a proprio piacimento il tempo rubato. Sul primo fronte aveva stabilito la perdita di ogni componente accessoria del salario (in media, il 20 per cento della retribuzione) per i primi dieci giorni di assenza continuativa per malattia (norma ancora in vigore). Sul secondo, aveva ampliato le fasce di reperibilità, cioè i periodi di tempo in cui il lavoratore deve restare chiuso in casa per consentire le visite fiscali (da 4 a 11 ore).

L’assenteismo era crollato. «Dopo il primo anno di applicazione della legge Brunetta la riduzione media è stata del 38 per cento», hanno scritto Maria Laura Parisi e Alessandra Del Boca su Lavoce.info. Poi però lo stesso governo Berlusconi aveva riportato la reperibilità al livello precedente. E, già nel settembre del 2009, i fannulloni avevano rialzato la testa. In quel mese le assenze per malattia erano schizzate verso l’alto del 24,2 per cento. Il governo era corso ai ripari, ampliando di nuovo la reperibilità (a sette ore, com’è tuttora). Ma intanto i dipendenti pubblici avevano smesso di sentirsi sotto i riflettori. E quelli con poca voglia di lavorare erano tornati al loro andazzo. All’inizio timidamente. Poi, dall’autunno 2011, quando Brunetta ha lasciato il ministero, con più decisione.

Prima che i dati pubblicati in queste pagine lo certificassero, i segnali di un risveglio dell’assenteismo erano stati colti da più di un addetto ai lavori. Mancavano le cifre, è vero, ma il trend era chiaro. Il ricercatore della Banca d’Italia Francesco D’Amuri, per esempio, aveva scritto su Lavoce.info: «Secondo analisi preliminari, i differenziali tra il settore pubblico e quello privato si sarebbero di fatto assorbiti nel periodo 2008-2011, ma sarebbero ora tornati a livelli simili a quelli fatti registrare prima della riforma del 2008». Il ministero era rimasto in silenzio. E lo Stato aveva continuato a sopportare il peso economico dell’assenteismo crescente.
I conti sono presto fatti.

Nel 2013 il costo del lavoro dell’insieme dei dipendenti pubblici è ammontato a 156 miliardi. Se si divide la cifra per il numero di impiegati dalle varie amministrazioni (3.336.494, secondo la Ragioneria generale dello Stato) si arriva a una spesa annua per dipendente di 46.755 euro. Per ricavare il costo contrattuale di una giornata bisogna dividere la cifra per 365 giorni. E si arriva così a 128 euro e pochi centesimi (lordi). Per avere invece il costo reale al denominatore va inserito il numero delle giornate di lavoro effettive (che sono 26 al mese, meno 32 giorni tra ferie e festività soppresse).

Il risultato finale sfiora in questo caso i 167 euro al giorno (166,98, per la precisione, naturalmente sempre al lordo). Somma che, moltiplicata per i 67 milioni di giornate bruciate lo scorso anno tra malattie, permessi, aspettative e congedi porta a 11 miliardi e 189 milioni.

Ma una perdita di quasi un miliardo al mese non sembra turbare i sonni del sottosegretario Rughetti. Che nella già citata audizione parlamentare ha avuto un’alzata di ingegno. Buttando là una proposta: rendere meno stringente la normativa, che oggi prevede la visita fiscale al dipendente pubblico già nel primo giorno di assenza per malattia. Dare un giro di vite, insomma. Al contrario, però.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso