Foto, patti stracciati e un grande ritorno: il centrosinistra del tutti contro tutti

Calenda taglia il nuovo record della durata di un’alleanza: 120 ore secche. Conte esulta per duemila auto-candidature nel M5S, ma si è perso pure Di Battista. Letta ha già scattato la nuova fotografia di Vasto. E ancora mancano sei settimane al voto

Un centrosinistra così, non lo si vedeva da almeno dieci anni: scissioni dell’atomo, identità armate, alleanze impossibili, coalizioni come castelli di sabbia in riva al mare. Senso del ridicolo quasi assente ma, in compenso, una spiccata abilità da telenovelas.

L’ultimo interprete in senso cronologico è per dire Giuseppe Conte, che adesso esulta perché quasi duemila persone si sono autocandidate per il M5S (1165 per la Camera, 708 per il Senato, 49 per la circoscrizione Esteri), ma non si capisce bene che cosa dovrà farne di così tanta gente, visto che intanto si è perso per strada pure Alessandro Di Battista, che non si è auto-candidato (di Beppe Grillo nessuna traccia) e visto che, se gli va proprio molto bene, eleggerà quaranta deputati e venti senatori.

La settimana che si concluderà domenica 14 con la presentazione al ministero degli Interni dei contrassegni elettorali, vale a dire dei simboli e delle insegne di questa campagna, è del resto cominciata malissimo: otto giorni prima, con le faccione di Enrico Letta, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli deformate dalla diretta Facebook per annunciare l’avvenuto accordo elettorale un sabato pomeriggio di agosto. Ripresi lateralmente, da telefonini piazzati a trenta centimetri da loro, sembravano quasi sotto una teca. Lepidotteri, dinosauri, bruchi. Non parlavano di temi, programmi, prospettive: piuttosto di seggi uninominali e proporzionali, percentuali, suddivisioni, scorpori, grazie ai quali la sinistra e i dem potevano mettersi in coalizione. Tutto eccitantissimo.

La frana stava per arrivare, già se ne sentiva l’odore. È infatti arrivata, ventiquattr’ore dopo, con Carlo Calenda che, rompendo l’accordo con Enrico Letta stretto martedì 2 agosto, stabiliva un nuovo record: l’alleanza col Pd di minor durata nella storia dell’umanità (120 ore secche) e con il maggior grado di consensi (nessuno che abbia approvato la scelta del leader di Azione).

A sei settimane dal voto del 25 settembre manca ancora la foto di Vasto, che per certi versi si immagina un obiettivo persino troppo arduo, quasi fuori portata, per altri versi – tragicamente - c’è già. I selfie e le altre immagini dei maggiorenti Pd intenti a brindare all’alleanza con Azione, Simona Malpezzi in viola, Marco Meloni che fa il broncio, Debora Serracchiani che sorride, Calenda più enigmatico eccetera, somigliano in effetti abbastanza, come livello di aspettativa e come riuscita politica finale, all’immagine scattata nell’agosto 2012 durante la Festa dell’Idv con Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro.

Quintessenza di ciò che ci aspetta anche stavolta, o almeno che ci si aspettava prima che le previsioni fossero riviste in ulteriore ribasso. Coalizioni monstre, visioni stentate, festa dei distinguo. Con tutti gli attori che gareggiano pensando già al successivo giro di giostra, visto che il prossimo, ancora da celebrarsi, è già andato in malora.

Era così già nel 2012, prima delle elezioni 2013. Era così ancora prima, nel 2007-2008, all’alba dell’ultima, strepitosa, vittoria di Silvio Berlusconi. Balletti, danze e altri autolesionismi che l’arrivo dei Cinque stelle aveva tacitato, forse perché si doveva combattere una battaglia più da presso, e che al contrario la fine dei Cinque stelle ha resuscitato. Come diceva quello: dopotutto quella gente era una soluzione.

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