Giorgia Meloni aveva appena finito di rinnegare Ventotene davanti alla platea della Camera quando Roberto Benigni apriva le danze del suo show europeista sul palco di Rai Uno. Nessun autore per quanto di genio sarebbe riuscito a tavolino a creare un tempismo tanto perfetto. Per farlo ci voleva proprio lo zampino del piccolo diavolo, che arriva in diretta (e in Eurovisione) con “Il sogno”, una dichiarazione d'amore per l'Unione, «L'esperimento democratico più emozionante che ci sia».
Saluta, ringrazia, lancia battute varie («Lo sciopero dei treni è una tradizione italiana come la cucina», «I potenti del mondo sono personcine per bene, sapere che loro hanno in mano la bomba nucleare ci fa stare tranquilli») e intanto scalda i motori. Perché non è lì per far ridere, non è cabaret, è una lectio magistralis di cui si sentiva il bisogno, in un Paese dove la politica dice cose spesso ridicole e i giullari sono costretti a farsi seri per il bene comune.
Una lezione quella di Benigni, intrisa di citazioni, aneddoti, libri letti, storia digerita al punto da poter essere trasmessa a un pubblico che di questi tempi ha la memoria corta. «L'Europa è il continente più piccolo del mondo che ha acceso la miccia di tutte le rivoluzioni, ha trasformato il pianeta, da tremila anni è la fucina dove sono stati forgiati alcuni fra i più grandi pensieri dell’umanità, inventando la logica, la ragione, il dubbio, la libertà, la democrazia, il teatro lo sport, la chimica moderna, la coscienza di classe, spaccando l'atomo, dipingendo la Sistina. Un patrimonio comune, un tesoro immenso in tutti i campi".
E poi cita De Gasperi («Il più grande presidente del consiglio che abbiamo avuto»), spiega la differenza tra patriottismo e nazionalismo: («Amo l’Italia come la mia mamma, sono patriota. Ma si può essere patrioti senza essere nazionalisti. Il nazionalismo non è un’ideologia politica, è una ossessione, una fede integralista, addirittura al di sopra di Dio»).
E volteggia sul palco di legno, tra timidi applausi, per arrivare al Manifesto di Ventotene. Su cui dice tutto, nel dettaglio, come un racconto necessario in cui l'assunto è «Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni sono eroi della nostra storia». Il pubblico si scalda, gli applausi si infittiscono, scende nei dettagli, gli aneddoti, il pollo dentro cui Ursula Hirschmann e Ada Rossi portarono il Manifesto fuori dall'isola, e poi le digressioni, in un monologo senza pause mentre avanza la fiaba dell'Unione, la Ceca, la Cee, la moneta unica, la generazione Erasmus. Una fiaba animata, tutta a braccio, pagine da sfogliare avvincenti come la Commedia o la Costituzione, in un flusso gioioso di coscienza consapevole, commovente. E ottimista, come un sogno.