Sarà perché forse sotto sotto siamo un popolo di incorreggibili ipocondriaci, ma sta di fatto che i medical drama continuano a far battere cuori a profusione. Basti pensare che il remake americano di “Doc – nelle tue mani”, è stato il miglior debutto degli ultimi cinque anni. La versione al femminile di Luca Argentero vestito da primario smemorato ha letteralmente sedotto il pubblico, che ha ringraziato con amore la possibilità di ritrovarsi ancora una volta in mezzo a casi di lupus. Intanto Netflix ha appena donato ai pazienti telespettatori “Pulse”, che non è un copia e incolla di “Grey’s Anatomy” perché, come hanno sottolineato gli ottimi autori, si intitola appunto in un altro modo. Per il resto, difficile trovare uno straccio di differenza a parte il fatto che gli episodi sono dieci mentre le stagioni della creazione imperitura firmata Shonda Rhimes ormai sono a quota 22, senza mostrare all’orizzonte alcun cenno di cedimento.
C’è Danny, una biondina magra e slavata che ha una relazione con il suo affascinante capo fatta soprattutto di sospiri (tantissimi sospiri) che a un certo punto dice a una matricola: «Da piccola guardavi “Grey’s Anatomy?” Beh, dimenticatelo». E chi vuole capire capisca.
Il suo lui è bello, dottore e impossibile. Ci sono gli sguardi in ascensore che anticipano il sesso bollente nelle stanze di guardia. La responsabile del pronto soccorso è un clone della dottoressa Bailey, severa ma giusta, l’ospedale universitario è un luogo immaginario dove tutto è rigorosamente gratis ma in stanza singola. E ci sono gli amici del cuore che non dormono mai e corrono furiosamente tra un’ustione e un femore esposto, c’è il paziente vip con il segreto pruriginoso e tutti, dal primo all’ultimo sono fastidiosamente carini, sia col camice che senza. La tematica di base, quella sì, potrebbe rientrare tra i barlumi di novità visto che affronta il tema mai arato abbastanza delle molestie sessuali, dell’abuso di potere maschile, del consenso mancato. Ma alla fine si vanifica come una bolla di sapone perché più che la denuncia poté la noia, sino a una conclusione a dir poco frettolosa in cui tutto si aggiusta, si risolve, come non detto, siamo alla fine, non c’è tempo da perdere.
Insomma, nel prodotto creato da Zoe Robyn, di innovazioni ce ne sono pochine, soprattutto vista la mole gargantuesca di produzioni che hanno impiantato i loro set in corsia, dai tempi del capolavoro imbattuto di “E.R.”. Ma la serie è balzata subito al secondo posto tra le più viste della piattaforma, dietro solo al fenomeno “Adolescence”. E viene da chiedersi: ma non è che più che ipocondriaci siamo semplicemente malati?