Il prossimo cancelliere vuole un’Europa più unita e indipendente dagli Stati Uniti. Ma intanto deve fare i conti con una coalizione fragile e con la minaccia dell’estrema destra

La Germania del nuovo cancelliere in pectore Friedrich Merz vuole uscire dalle brume e distinguersi con un profilo preciso in Europa. Pur da atlantista convinto, il leader della Cdu riconosce che il contesto mondiale è più che fosco. Teme, e lo ha detto in un talk show televisivo, «la pressione dai due lati, sia da Mosca che da Washington» per cui «la mia assoluta priorità ora è creare l’unità europea». Non sono parole di una radicalità assoluta, ma Olaf Scholz non le ha mai pronunciate. L’Europa non è mai stata tra le prime portate del menu socialdemocratico e la riverenza all’atlantismo un dogma indiscusso nella prassi. Ora il sogno di Merz di un’Europa forte, però, rischia di rimanere nel cassetto senza una coalizione in grado di governare con passo sicuro: non più un’ovvietà, come si è visto nell’esperienza del precedente esecutivo. E l’unica coalizione in grado di essere efficiente, perché con due soli partner e una chiara gerarchia, è la Grosse Koalition. Ma se la maggioranza numerica esiste in Parlamento, il secondo partner, cioè l’Spd, è uscito dalle elezioni con le ossa rotte e non è certo il modo migliore per iniziare le trattative di governo. «Non ho alcun interesse che la Spd venga distrutta» ha precisato all’indomani delle elezioni il leader cristiano-democratico e «so che in alcuni punti sarà difficile. Ma confido nel fatto che la Spd riconosca anche da sola che è assolutamente necessario farlo, perché una crisi esistenziale è molto vicina». Ma prima di proseguire e vedere in quale impasse si trovano i socialdemocratici tedeschi, e cosa li tormenta nel dopo elezioni, è utile fare un passo indietro per capire qual è la proiezione europea del nuovo cancelliere che guiderà la Germania. 

 

«Per me l’assoluta priorità è rafforzare l’Europa in modo che il prima possibile, a poco a poco, si possa raggiungere l’indipendenza dagli Usa», ha detto Merz in tv. Un passaggio che ricorda quando la cancelliera Angela Merkel al vertice del G7 di Taormina del 2017 aveva esortato gli europei «a prendere il destino nelle loro mani». L’espressione del leader della Cdu non significa che voglia staccare la Germania dagli Usa per sempre, ma esprime l’intenzione di costruire un’Europa capace di stare in piedi con le sue gambe in ambito di sicurezza e difesa, anche senza l’ombrello Usa. «Dopo le affermazioni della scorsa settimana di Donald Trump è chiaro che per una parte degli americani di questo governo il destino di questa Europa è indifferente» ha detto Merz. Non solo, il cancelliere in pectore ha proseguito invitando a «non farsi illusioni su quanto sta accadendo in America». In particolare, quel che è successo nei giorni scorsi, e cioè l’endorsement ripetuto di Elon Musk a favore dell’estrema destra di Afd, è stato «un intervento senza precedenti» nella democrazia di un Paese amico, «che non è stata meno drammatica, drastica e sfacciata degli interventi arrivati da Mosca». Nei confronti degli Usa, almeno a parole, l’intenzione di piegare la testa non c’è. Ma è visibile piuttosto il tentativo di fare asse con la Francia per lavorare su un’Europa della Difesa formata dai Paesi volenterosi (leggi: Weimar plus), usando il volano dell’impegno per Kiev.

 

Nel discorso programmatico del cancelliere in pectore sulla politica estera e di difesa alla Körber Stiftung di qualche settimana fa – e vale la pena ricordare che Scholz non ha mai fatto niente di simile – Merz ha ricordato che la politica estera non è mai stata così importante come in questo momento e non c’è mai stato tanto bisogno di un’Europa unita. Ha quindi evidenziato la necessità di un’industria della difesa europea più integrata e semplificata. Fin qui, parole già sentite. Sappiamo tutti che di difesa europea si parla da circa vent’anni. Ma è il contesto a essere cambiato stavolta. E al futuro cancelliere di Berlino il messaggio è arrivato forte e chiaro. Soprattutto alla luce del discorso del vicepresidente JD Vance di metà febbraio a Monaco. «Il tempo sta per scadere per l’Europa» ha ricordato Merz dopo le elezioni. E non è solo il contesto mondiale a incalzare, ma anche lo scenario politico interno. Afd, pur non guadagnando nuovi consensi dopo l’intervento di Musk, è raddoppiata in soli tre anni, superando il 20 per cento. E tutti in Germania sanno che ora è seduta pazientemente sulla riva del fiume aspettando di vedere passare il cadavere “dei partiti del sistema” alle prossime elezioni.

 

La palla, quindi, è nel campo dei partiti della Grosse Koalition. L’Spd ha tutta l’intenzione di vendere cara la pelle. Fin dai primi colloqui ha evidenziato le sue richieste, ha preteso “concessioni” per dare il suo consenso a entrare nelle trattative di coalizione. D’altra parte, la disfatta elettorale porta al rinascere di vecchie faide interne mai sopite. Il leader de giovani socialdemocratici, Philipp Türmer, ha accusato l’attuale co-presidente del partito Lars Klingbeil, di essere «uno degli architetti del fallimento» e nonostante questo di voler «afferrare la presidenza del gruppo parlamentare». L’altra co-presidente del partito Saskia Esken non sembra intenzionata a lasciare, ma le pressioni dal basso crescono. È prevedibile una lotta per i posti apicali anche tra i più amati nel gradimento popolare, il ministro della Difesa Boris Pistorius, e la vecchia guardia, come l’attuale capogruppo del partito uscente Rolf Mützenich. Sullo sfondo la vera minaccia è il tempo che scorre. Il partito socialdemocratico ha procedure lunghe ed elaborate per cui tutte le scelte alla fine devono essere condivise e approvate dagli iscritti. Ancora una volta il mondo dovrà attendere la Germania.

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