Fino al 12 ottobre 2025, una mostra dedicata a una ritrattista da riscoprire. Il Prof. Roberto Dulio lancia l’appello ai privati “aiutateci a ritrovare le sue foto”

Ghitta Carell: la fotografa (ebrea) del Duce

Non riuscì mai del tutto a scrollarsi di dosso l’immagine di “ritrattista del Fascismo”, neanche dopo che le leggi razziali la costrinsero a nascondersi e il suo nome venne oscurato con imbarazzo. Nata nel 1899 nella contea ungherese di Szatmár da una famiglia ebrea, Ghitta Klein, in visita a Firenze nel 1924, decide di fermarsi in Italia e intraprendere la professione di fotografa. Ribattezzatasi Carell per l’occasione, in breve tempo, entra in contatto con l’aristocrazia, l’élite intellettuale e la classe politica italiane. Lasciando intendere delle origini nobili, quantomeno fumose, Ghitta Carell riuscì a imporsi come uno dei ritrattisti più richiesti degli anni Trenta grazie al suo innato talento e a uno stile unico. Ghitta Carell si serviva di un’attrezzatura tradizionale: una serie di obiettivi e un apparecchio a lastre di formato 18 x 24 centimetri eventualmente sostituibile con più agili macchine portatili. Qualche lampada e la sapiente calibratura di tempi di posa, nulla di più. 

 

Ghitta Carell è stata molto più di una fotografa di Regime. Davanti al suo obiettivo posarono i massimi protagonisti dell’epoca: da Mussolini a Pio XII, da Maria Josè a Margherita Sarfatti ma anche le grandi famiglie di industriali e gli intellettuali del tempo. Le personalità italiane più note – o aspiranti alla notorietà – degli anni Trenta si susseguono nello studio di Piazza del Popolo 3 a Roma, dove Ghitta Carell si è ormai trasferita dopo l’esordio fiorentino. Negli anni di più intensa attività apre uno studio anche a Milano, in via Conservatorio 20, dove fotografa la famiglia Necchi Campiglio e lo stesso Piero Portaluppi, progettista della loro casa milanese. I suoi soggetti, di cui studia con minuzia abbigliamento e posizione, appaiono in bilico tra un formalismo solenne e un immaginario hollywoodiano: memoria del passato ed eloquenza espressiva del presente. Curata dal Professor Roberto Dulio, docente di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano, la mostra Ghitta Carell: ritratti del Novecento è ospitata a Villa Necchi Campiglio, a Milano, fino al 12 ottobre 2025. L’esposizione raccoglie più di cento opere, tra fotografie, lettere, cartoline, libri, documenti d’archivio e anche l’attrezzatura fotografica, esposta per la prima volta al pubblico. “Non si tratta solo di storie del passato” ha precisato Daniela Bruno, Direttore culturale del Fai, “Questa mostra fa riflettere su temi generali e attualissimi: dalle forme della rappresentazione del potere, alla manipolazione delle immagini, capaci di costruire personaggi e modificare caratteri come la fotografia sempre più fa oggi, con filtri e programmi digitali, e come un tempo faceva l’arte.” 

Professore cosa l'ha spinta ad avventurarsi nel lavoro di Ghitta Carell?

"Essendo uno storico dell’architettura ho scoperto Ghitta Carell attraverso i ritratti che ha realizzato ad alcuni dei più importanti architetti della sua epoca. Avventurandomi nelle ricerche ne veniva fuori una figura come contraddittoria. Avevo bisogno di capire di più. Sono partito dall’Archivio Centrale dello Stato di Roma dove sono contenuti i carteggi con la segreteria particolare del Duce per i ritratti che la Carell fece a Mussolini. Mi sono trovato di fronte ad una figura eccezionale troppo spesso ridotta  a fotografa di Regime, una definizione che sicuramente non la caratterizza". 

Cosa rende così particolare il suo stile?

"L’estetica di Ghitta Carell ha la straordinaria capacità di fondere classicismo e modernità in un’estetica nuova e seducente. La sua è una forma ibrida fra la ritrattistica rinascimentale e glamour hollywoodiano. Come Bronzino, enfatizza alcuni particolari che contribuiscono a dare una rappresentazione, talvolta, immaginifica della persona ritratta. La Carell studiava l’abbigliamento, lo sguardo, la posizione, ogni elemento veniva dosato con cura.  In sostanza, il suo stile fonde alto e basso con una maestria unica, ne viene fuori un’autonomia espressiva eccezionale che spiega in gran parte il suo successo".

Neanche la sua condizione di ebrea la fece “perdonare” il legame con Fascismo. Fu questa la sua condanna? 

"Sarebbe semplicistico spiegare il suo calo di popolarità nel dopoguerra con la sua vicinanza al Regine. Decisamente, Ghitta Carell ha rappresentato un tipo di estetica che durante il Regime ha avuto un grande successo. Ha fotografato Mussolini e altri personaggi legati al Fascismo, legando in parte la sua figura a una certa atmosfera, tuttavia, non è solo questo ad averla progressivamente fatta sparire dalla scena. Ricordiamoci che riesce a salvarsi dalle deportazioni con grandi difficoltà e la sua carriera subì una battuta d’arresto con le leggi razziali. Inoltre, nel dopoguerra è anche il gusto estetico a cambiare, il tramonto della sua carriera è da imputare a più fattori".

Per tutta la durata della mostra il Fai ha lanciato un appello. Di cosa si tratta? 

"In occasione della mostra il FAI ha lanciato una Call for portraits, ovvero una ricerca diffusa tramite social e canali digitali, per ritrovare fotografie di Ghitta Carell conservate nelle case delle famiglie milanesi. Segnalare un’opera è semplice: basta scrivere a mostraghittacarell@fondoambiente.it al fine di sottoporre le immagini all’attenzione dei curatori, fino al 3 ottobre 2025. Le fotografie selezionate saranno richieste in prestito per la mostra. Aiutateci a ritrovare le opere di questa grande artista!".

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