C’è un confine sottile tra ciò che la guerra mostra e ciò che lascia fuori campo. Tutto inizia sulle spiagge di Okinawa, tra i corpi dei soldati e dei civili ammassati nell’ultimo respiro dell’Impero giapponese. È lì che si consuma, tra aprile e giugno del 1945, la battaglia più lunga e cruenta combattuta sul suolo giapponese. Bombardamenti, fuoco incrociato, esplosioni, fumi e corpi si ammassano senza nome. Quasi 250 mila morti, la metà civili. È l’epilogo brutale di un conflitto che non ha più regole, ma è anche la porta verso qualcosa che sarà irreversibile.

Nelle immagini, intere famiglie scalze, rannicchiate con gli sguardi vuoti, accanto a soldati americani intenti nelle loro operazioni. Ma la catastrofe deve ancora avvenire. Il 6 agosto 1945, alle 8:15, Hiroshima viene investita da un lampo. Più che una bomba, un taglio nella storia. In pochi secondi, decine di migliaia di vite evaporano, vengono incenerite o marchiate per sempre. Tre giorni dopo, tocca a Nagasaki. Due città cancellate. Più che una resa, è un punto di non ritorno. L’inizio dell’era nucleare. Le poche fotografie documentano l’indicibile. La pelle si stacca come stoffa, gli occhi guardano senza vedere. Gli “hibakusha”, i sopravvissuti, portano nel corpo le mappe della bomba. Non ci sono più uniformi, nemici, strategie: solo esseri umani ridotti a ombre sui muri, a sagome disegnate dalla luce e dal calore. Gli effetti si misurano in generazioni. Il dopo dura più del durante. Ferite che non hanno mai smesso di sanguinare.

Oggi quelle immagini tornano a galla con una forza inquietante. Mentre le tensioni tra Iran e Israele sono divampate e la parola “nucleare” è tornata nei titoli, quel passato non sembra più così lontano. È come se il secolo che doveva aver imparato la lezione stia invece tornando a sfiorare lo stesso baratro. Gli errori sembrano ripresentarsi con altre bandiere, altri equilibri precari, ma l’identica logica di fondo: mostrare la forza, minacciare il nemico, proteggere la Nazione a qualunque costo. Quando la guerra non è più fatta per conquistare, ma per annientare.

Foto: Keystone/Getty Images

Foto: Ullstein bild/Getty Images

Foto : History/Universal Images Group/Getty Images

Foto : US Navy/Getty Images


Foto: Prisma Bildagentur/Universal Images Group/Getty Images

Foto: George Rinhart - Corbis/Getty Images

Foto: Prisma Bildagentur - Universal Images Group/Getty Images

Foto: Galerie Bilderwelt/Getty Images

Foto: Corbis/Getty Images

Foto: Universal History Archive - Universal Images Group/Getty Images

Foto: Galerie Bilderwelt/Getty Images