Visioni
20 agosto, 2025Nella notte tra il 20 o il 21 agosto l’Armata Rossa e i Paesi del Patto di Varsavia soffocano con i carri armati la Primavera di Praga. Un’invasione che stronca le speranze di riforma e impone con la forza la “normalizzazione”, lasciando alla storia le immagini di una città in ginocchio ma non piegata
Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1968, mentre la città dormiva, i rumori metallici dei cingoli iniziarono a risuonare per le strade di Praga. Erano i carri armati dell’Armata Rossa, entrati insieme alle truppe degli altri Paesi del Patto di Varsavia per soffocare la “Primavera di Praga”. In poche ore, un’intera nazione vide crollare l’illusione di un socialismo dal volto umano, riformista e aperto, promosso dal leader Alexander Dubček. La Cecoslovacchia aveva provato, in quell’anno, a cambiare rotta. Libertà di stampa, apertura culturale, allentamento della censura, possibilità di discutere pubblicamente le scelte del governo: conquiste fragili ma essenziali, che avevano acceso le speranze non solo a Praga ma in tutta l’Europa orientale. Una breccia nel blocco sovietico che appariva intoccabile. Ma per Mosca e i suoi alleati era troppo. Leonid Brežnev non poteva permettere che il cosiddetto “contagio” si diffondesse oltre i confini e minasse l’unità del sistema. Le immagini che arrivarono da Praga raccontarono la sproporzione tra i due fronti. Da una parte, una popolazione scesa in strada, armata soltanto di cartelli, radio a transistor, slogan improvvisati, dall’altra, carri armati, soldati, fucili e repressione. La popolazione non reagi con la forza: risposero con coraggio civile, circondando i mezzi militari, parlando ai soldati, appendendo manifesti che chiedevano libertà.



Alcuni ragazzi si arrampicarono sui blindati per rivendicare, anche solo per un attimo, la propria resistenza. Il bilancio fu drammatico: più di un centinaio di morti nei primi giorni e migliaia di arresti. Dubček fu deportato a Mosca, costretto a firmare il “protocollo” che sanciva la fine delle riforme. La Cecoslovacchia tornò sotto il pieno controllo sovietico. Il paese si avviò verso quella che venne definita “normalizzazione”: un lento ritorno all’ordine, fatto di purghe, licenziamenti, repressione politica.


Il sogno del 1968 si trasformò in un incubo lungo vent’anni, fino alla caduta del Muro di Berlino. Quelle giornate restano scolpite nella memoria europea non solo come un fallimento, ma anche come una testimonianza di dignità collettiva. Le fotografie raccontano una città che non accettò passivamente l’invasione, pur sapendo che la sproporzione delle forze non lasciava speranze, ma raccontano una generazione che provò a difendere un’idea di libertà con la sola forza della presenza in piazza.


Praga, agosto 1968, segna la fine di una stagione di aperture e l’inizio di un lungo inverno politico. Ma quelle immagini continuano a parlarci: ricordano che anche di fronte alla forza brutale di un’invasione, il bisogno di libertà trova sempre voce. E che la storia europea, nel bene e nel male, è stata costruita anche da chi non ha avuto paura di opporsi, pur pagando un prezzo altissimo.

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