Cose Preziose

Perché parlare di natalità è così difficile per la sinistra

di Loredana Lipperini   18 aprile 2024

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È diventato complicato affrontare la questione senza che l’intervento venga preso come un’esortazione a riprodursi, o peggio ancora come una colpevolizzazione. Ma c'è un tema di comunità da recuperare

Penso a tante cose: alla prima volta che vidi una betulla, alla prima frase in greco che imparai: «Χαλεπά τα καλά, La bellezza è severa». Trentadue anni fa usciva il capolavoro di Donna Tartt, Dio d’Illusioni, recentemente riscoperto dalle giovani lettrici di TikTok: quell’intreccio di plagio, passione per il mondo antico e insieme per le droghe e il sesso torna in mente dopo le parole con cui Melania Mazzucco, presentando la dozzina dei candidati al Premio Strega, ha detto fra l’altro che il sesso è molto poco presente in tutti i testi concorrenti, che per lo più vengono da autori e autrici relativamente giovani.

 

La mancanza non sorprende: qualche tempo fa lo psicoanalista e sociologo Luigi Zoja aveva denunciato, nel suo Il declino del desiderio, la possibilità che questo potrebbe essere il secolo in cui il desiderio sessuale è più forte nei quaranta-cinquantenni e oltre (cresciuti a Paura di volare di Erica Jong, o a Sex and the City) che nei venti-trentenni. Basterebbe soffermarsi su questo, e chiedersene i motivi, prima di dichiarare a mezzo mondo che il governo lavora contro la denatalità. Nei giorni scorsi, infatti, l’Italia è finita su diversi giornali stranieri per le nascite arrivate al minimo storico. Anche qui, niente di nuovo: se ne discute da anni e poco si fa. Perché, come dicono i demografi, si diventa genitori quando ci si trasferisce all’estero o si vive in luoghi come la provincia autonoma di Bolzano di cui ha parlato il New York Times, dove esistono servizi e facilitazioni economiche continuative e non occasionali. E case in affitto, faccenda non secondaria in quell’immenso Airbnb che sta diventando il nostro Paese.La presidente del Consiglio assicura comunque che lotterà per la famiglia: nel frattempo è la sua a lottare contro gli intellettuali, visto che nel giro di pochi giorni si registra la seconda querela, e dopo Luciano Canfora tocca alla filosofa Donatella Di Cesare, rea di aver offeso il ministro cognato Lollobrigida. Pazienza.

 

Mettendo insieme i tasselli, viene di pensare non alla severità della bellezza come Donna Tartt, ma alla severità della situazione: perché il calo del desiderio e quello delle nascite riguardano in diverso modo il senso del futuro. Che manca, e da anni, a causa di un errore fatale come l’aver lasciato che il discorso sulla natalità divenisse predominio di una parte politica o religiosa.

 

È come se, soprattutto da sinistra, si fossero fatte spallucce, e al di là dei proclami di facciata i figli venissero visti come una faccenda individuale e non comunitaria, per il semplice fatto che l’idea stessa di comunità stava scivolando via. Oggi è diventato difficilissimo affrontare la questione senza che l’intervento venga preso come un’esortazione a riprodursi, o peggio ancora come una colpevolizzazione. Di più: l’idea di un figlio viene vista come messa a rischio della sopravvivenza del Pianeta: nei fatti, non riusciamo a vederci nel futuro, e dunque non riusciamo a sperare. Per questo, la cosa preziosa di oggi è Fare femminismo di Giulia Siviero, appena uscito per Nottetempo: ovvero, la ricostruzione di pratiche e genealogie femministe che al futuro sono state e sono volte. Non uno sguardo nostalgico al passato, ma un uso della memoria come «funzione creativa» per «aprire il presente all’imprevisto». Sperare, appunto.