Il dossier

In Europa e nel mondo, persino in Russia, nessuno si fida più di Matteo Salvini

di Carlo Tecce   18 aprile 2024

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Tra il 2021 e il 2022 il leader leghista ha tentato di mettere in piedi una politica estera parallela che voleva portare gli interessi di Mosca al centro delle strategie occidentali. Poi lo scenario è cambiato. E ora si trova del tutto isolato

Ogni stagione ha il suo Matteo Salvini. Quest’anno la collezione primavera-estate lo propone in abiti moderati e tonalità riflessive. Al terzo anno di guerra, in recenti interviste, è riuscito a legittimare la resistenza ucraina e addirittura a menzionare educatamente l’aggressore russo. Pare che, dopo, gli abiti moderati fossero zuppi di sudore e le tonalità riflessive fossero stinte. Queste sono spregevoli congetture, però. L’ultima versione di Salvini, valida come i punti di quei concorsi che si aprono e si esauriscono lo stesso giorno, è una manovra più disperata che azzardata di un politico che ha paura di finire esodato. In pensione senza averne l’età. Le elezioni europee di giugno sono fondamentali per la carriera nel governo e nel partito. A differenza del 2019 con le istituzioni europee sfaldate e la Lega straripante al 34,26 per cento, stavolta le istituzioni europee non ammettono posizioni ambigue in politica estera e non le comprendono più gli elettori o comunque una maggioranza degli elettori. Il Salvini in abiti moderati e tonalità riflessive potrebbe persuadere una manciata di elettori, è una ipotesi, ma non potrebbe mai convincere le cancellerie straniere, è una certezza. Sono vividi nella memoria il Salvini con la maglietta di Putin e l’ex portavoce Gianluca Savoini che tratta con dei russi un presunto finanziamento occulto al partito. La credibilità in politica estera del vicepresidente del Consiglio nonché ministro dei Trasporti è precipitata, per la seconda volta, quella definitiva, fra l’estate 2021 e l’estate 2022. L’Espresso ricostruisce questi eventi con dettagli inediti attraverso le testimonianze di varie fonti che, all’unisono, scolpiscono: né gli ucraini né gli americani né tantomeno i russi considerano Salvini un interlocutore affidabile.

 

Estate 2021. Salvini è azionista del governo Draghi. È in una condizione anomala per la sua natura felpata. Nel senso di indossatore di felpe. La Lega è il primo partito nei sondaggi, ma è il primo partito a soffrire l’adesione al governo Draghi. Più dei Cinque Stelle a lutto per lo sfratto di Giuseppe Conte da Palazzo Chigi. Allora Salvini si allena per stupire in politica estera con un numero altamente spettacolare. In quel momento lo spettacolo in scena è una umiliazione per l’Alleanza Atlantica Nato e per gli Stati Uniti in particolare con la tragica fuga da Kabul per il ritorno dei talebani. A Ferragosto Salvini, senza deleghe nel partito e nel governo, ne è fuori, comincia a chiamare le ambasciate di mezzo mondo, a fornire una sua lettura dei fatti in Afghanistan: «Dietro a tutto c’è il Pakistan, lunedì incontrerò l’ambasciatore. Bisogna riallacciare buoni rapporti con la Russia che è strategica e l’Italia deve tornare a contare nello scenario internazionale». Il passaggio da Kabul a Mosca è abbastanza funambolico.

 

Salvini incontra l’ambasciatore pakistano, poi a settembre incontra quello cinese e raduna nella sede afghana a Roma i diplomatici di Germania, Francia, Olanda, Polonia, Austria, Svezia, Danimarca, Bulgaria, Estonia, Slovenia, Ungheria, Irlanda, Lituania, Romania oltre a Canada, Australia, Islanda, Nuova Zelanda. Il leghista non si avventura in soluzioni, ma spinge per una più ampia «condivisione». E spesso invoca la revoca delle sanzioni economiche alla Russia. Non è facilmente intellegibile la sua strategia. Finché qualche settimana dopo la butta lì: «L’Europa è stata assente in Afghanistan. Questa deve essere l’occasione per tornare ad avere rapporti giusti e costanti con la Federazione russa: io sono stato indagato perché continuo a sostenere che è dovere dell’Italia e dell’Europa avere buoni rapporti con la Russia». A chi parla Salvini? A cosa si riferisce? Per capirlo è sufficiente cambiare stagione.

 

Autunno 2021. La Nato è il tema in politica estera. Già due anni prima il presidente francese Emmanuel Macron ne aveva decretato la «morte cerebrale». A Berlino e Parigi, e di rimando a Roma, si discute di Difesa europea per emanciparsi dalla Nato. Salvini ne approfitta per chiedere un appuntamento ai vertici Nato di stanza a Bruxelles. Le posizioni di Salvini sono note. Ha sempre criticato l’allargamento a Est. Lo considera una provocazione a Mosca. In televisione affermò che l’uscita italiana dall’Alleanza Atlantica non era da escludere a priori. Dunque l’appuntamento a Bruxelles non gli viene concesso. Salvini è davvero intenzionato a promuovere una iniziativa diplomatica per l’Afghanistan di nuovo controllato dai talebani e magari a un riassetto geopolitico di Europa e Nato. Il mondo va più veloce. A ottobre la Russia avvia una vasta mobilitazione militare a ridosso dei confini ucraini. Che la Nato fosse debole, se ne era accorto Salvini, ma se ne era accorto soprattutto Vladimir Putin.

 

Inverno 2021/22. Accantonato il piano di pace per l’Afghanistan, Salvini se ne fa interprete di uno per scongiurare la guerra in Ucraina. Mentre la Russia dispone l’attacco militare e l’Ucraina si organizza per respingerlo con il supporto più o meno palese di americani ed europei, Salvini fa l’uomo della strada e si preoccupa dei termosifoni: «Ho sentito l’ambasciatore russo e sentirò adesso l’ambasciatore ucraino. Noi naturalmente ci stiamo preoccupando. Egoisticamente aggiungo che l’Italia, a differenza degli altri Paesi europei, qualora qualcuno chiudesse i rubinetti del gas è al buio e al freddo da domani». Chi dovrebbe chiudere i rubinetti del gas? Il governo di Mosca, chiaro, l’orso russo che non va irritato. Come dire: se non vogliamo essere amici per credo, dobbiamo esserlo per convenienza. Per settimane, fino alla prima alba di guerra del 24 febbraio 2022, Salvini ripete di aver parlato con l’ambasciatore ucraino e con l’ambasciatore russo e che i margini per una mediazione ci sono, ma l’Europa deve essere indipendente. Che vuol dire essere equidistante. Invece l’Europa sceglie di schierarsi con l’Ucraina invasa fin da subito e la sorregge con soldi e armi. Neanche Putin forse se l’aspettava. Chissà Salvini.

 

Primavera 2022. Abituato a girar per ambasciate e interloquire con ambasciatori, quasi sempre accompagnato e introdotto dall’avvocato Antonio Capuano, ex parlamentare di Forza Italia, Salvini elabora un gesto eclatante per dirimere il conflitto in Ucraina. Le prove generali sono un fallimento totale, e Capuano non c’entra: Salvini va in Polonia per aiutare i bambini sfollati in Ucraina e viene preso a pernacchie dal sindaco che gli rammenta la passione per Putin. Al ritorno rafforza il suo progetto di un viaggio a Mosca per raccogliere dalle mani di Putin, o di chi per Putin, una bozza di un accordo di pace da sottoporre al governo ucraino. Sembra surreale, ma è successo o stava per succedere.

 

Assistito da Capuano, Salvini intavola un negoziato con l’ambasciata russa (ci va in almeno tre occasioni), coinvolge gli americani, gli ucraini, anche i turchi, addirittura il Vaticano e pure Mario Draghi in qualche modo ne sarà edotto. Salvini per Mosca era l’unica breccia in un fronte europeo più che compatto. L’ambasciata russa lo asseconda. Si espone. Come altri diplomatici. Però Salvini non regge le pressioni politiche e mediatiche. E annulla la trasferta alla viglia della partenza per Mosca.

 

Estate/Autunno 2022. Il governo Draghi cade proprio per la guerra in Ucraina e le spedizioni di armi. Non per mano del pacificatore Salvini, ma per le conseguenze di una scissione nei Cinque Stelle. Neanche adesso l’Italia vacilla in politica estera perché Giorgia Meloni, che comanda la coalizione in vista del voto, rinnova il patto di lealtà con la Nato, l’Europa e gli Stati Uniti. Salvini abbandona definitivamente le sue velleità in politica estera. Nessuno gli risponde più al telefono. Nel partito se ne occupa Paolo Formentini, più atlantista del segretario generale Jens Stoltenberg, più diffidente con i cinesi di un repubblicano americano.

 

Salvini partecipa al governo Meloni ai Trasporti, non dovrà più confrontarsi con informazioni sensibili come accadeva all’Interno. Per l’ufficio diplomatico dal ministero degli Esteri gli mandano il consigliere d’ambasciata Giovanni Donato. Salvini pensa al ponte sullo Stretto lungo 3,6 km. Ormai non guarda oltre qualche chilometro.