Di croci e simboli cristiani, neanche l'ombra. Di squadre e forme coniche che richiamano il compasso rovesciato, una marea. Arcore, viale dei Pioppi, o se preferite viale Luigi Berlusconi. In fondo in fondo, nel bel mezzo del parco di villa San Martino, ecco stagliarsi un monumento in stile egizio-milanese. Decine di tonnellate di marmo delle Alpi Apuane sono state modellate dallo scultore Pietro Cascella fino a formare un colonnato. Sopra, sfere, dischi e piramidi tronche si ergono fino a sette metri e mezzo d'altezza a simboleggiare la volta celeste. Sotto, a una profondità di quattro metri e mezzo rispetto a questo tempio solenne, si apre una cripta in travertino: al centro c'è un sarcofago. Il suo sarcofago. Quello dell'Unto del Signore, al secolo Silvio Berlusconi, professione tycoon televisivo e presidente del Consiglio.
Un giorno, lontanissimo, a sentire il suo medico personale nonché sindaco di Catania, Umberto Scapagnini, Silvio giacerà qui. E accanto a lui riposerà la gens berlusconiana. Non i familiari. O meglio, non solo quelli. Nella Cappella Gentilizia che il Cavaliere ha cominciato a sognare nel 1986, ma che è stata compiutamente realizzata solo nel 1993, c'è infatti molto spazio. I progetti conservati negli uffici tecnici del Comune di Arcore, dove l'intera opera è stata alla fine classificata come "gruppo scultoreo con deposito", si riferiscono a un edificio sotterraneo a pianta quadrata di circa 180 metri quadri di superficie. Mentre le fotografie, in buona parte inedite di un vecchio catalogo Electa (Mondadori) sulle opere di Cascella, riscoperto dai giornalisti di Telelombardia, segnalano come all'interno della cappella sia stato ricavato lo spazio per una trentina di loculi. Tutti ancora vuoti, in attesa di ospitare la salma del padre di Silvio, Luigi, ora sepolta a Milano, e quelle degli amici più cari: Marcello Dell'Utri, Fedele Confalonieri, Gianni Letta e, probabilmente, Emilio Fede, Adriano Galliani e Cesare Previti. Silvio vuole infatti compiere il suo ultimo viaggio con loro. E non ne fa mistero.
Nei primissimi anni Novanta, quando la politica era ancora un sogno, Berlusconi lo aveva anche detto a Indro Montanelli. Allora il direttore de "il Giornale", in visita ad Arcore, aveva seguito il suo editore lungo un corridoio di pietra sul pavimento del quale erano incastonati due mosaici rotondi in cui è facile scorgere i simboli dello yin e yiang, della ruota del sole e qualche squadra. Poi aveva disceso i sette gradini che portano al sepolcro e, come avrebbe raccontato lui stesso, aveva ascoltato il Cavaliere magnificare i pregi della nuova costruzione. «Qui ci andrà Marcello, qui Fedele, qui mio padre, qui riposerò io», gli aveva detto orgoglioso Berlusconi, indicando prima i loculi e poi il sarcofago. Montanelli aveva fatto scorrere uno sguardo perplesso lungo le pareti in travertino. Si era reso conto che l'intera cripta era delitimitata da un altorilievo di forme incastrate le une nelle altre «a significare la catena degli affetti che tengono uniti i morti e i vivi». E da toscano scaramantico qual era, si era infilato le mani nella profondità delle tasche dei pantaloni. Ma l'antico rito anti-sfortuna era stato improvvisamente interrotto dalla voce di Silvio. «Indro, non oso chiedertelo, ma se anche tu volessi farmi l'onore...», gli aveva domandato un Berlusconi particolarmente emozionato, mostrando uno spazio ancora libero. Pausa. Silenzio. Poi tutto di un fiato la fulminante risposta: «Domine non sum dignus».
«Sì, Indro lo ha raccontato anche a me», ride oggi al telefono il maestro Cascella dal suo buen retiro di Fivizzano, il paese toscano dove Sandro Bondi, l'attuale coordinatore di Forza Italia, si è fatto politicamente le ossa, occupando per tre anni la poltrona di sindaco eletto nelle fila del Pci. In fondo il volto pacioso e soddisfatto di Bondi è la miglior dimostrazione di come la Volta Celeste con annesso sepolcro-deposito non porti sfortuna. Anzi, possa essere considerata un tempio sulla strada del successo. Se non fosse stato per Cascella e la sua opera oggi Bondi sarebbe ancora un oscuro funzionario Ds costretto a sbarcare il lunario come dirigente dell'Unipol. Ma il destino ha voluto altrimenti. Il sindaco comunista ha accompagnato ad Arcore il maestro ed è stato folgorato. Al termine della visita Berlusconi gli ha regalato un orologio e un interrogativo destinato ad arrovellare il primo cittadino di Fivizzano per mesi: «Ma come fa una persona intelligente come lei a essere comunista?». Poi la conversione. Un posto in Parlamento e una casa nel parco di villa San Martino, a poche centinaia di metri da quel sepolcro in cui anche Bondi, forse, aspira a essere un giorno celebrato.
«Guardi che l'idea del monumento funerario a Berlusconi è venuta quando gli è morto il padre», avverte Cascella. Che immediatamente, come per allontanare le voci secondo le quali l'intero manufatto sarebbe carico di simbologia massonica, aggiunge: «Lui però non c'entra niente. Silvio ha solo approvato i bozzetti. La mia scultura è un'opera astratta, non c'è nessun simbolo. La volta celeste rappresenta il cielo, il luogo da cui veniamo e verso cui andiamo. L'aspetto esoterico del sepolcro, se esiste, non è voluto».
Nei sotterranei c'è anche un bassorilievo. Su una parete del vestibolo, proprio di fronte a una porta scorrevole di pietra che si apre sul lungo corridoio che ospita i loculi, c'è un'opera della moglie di Cascella, la scultrice Cordelia von den Steinen. «È una natura morta», spiega il maestro, «mi pare che rappresenti un cesto di frutta». Chi lo ha visto da vicino racconta che accanto alla frutta sono raffigurati altri oggetti: alcuni mazzi di chiavi, due filoni di pane, un pacco postale sigillato con ceralacca, un giornale e un telefono. E che il tutto è contenuto all'interno del telaio di una finestra semi-aperta, come a rappresentare il passaggio tra la vita e la morte. «Sì, mia moglie si è ispirata all'arte etrusca. Gli oggetti sono quelli che i defunti volevano portarsi nell'aldilà. Il telefono è qualcosa di molto contemporaneo, è uno strumento di lavoro della nostra epoca», spiega lo scultore.
In attesa che Berlusconi scopra il modo per farsi vivo dall'oltretomba con chiamate a politici e direttori di telegiornali, la cappella gentilizia resta vuota. E il monumento può sembrare al visitatore distratto solo un piacevole agglomerato marmoreo di antenne e parabole satellitari stilizzate. A impedire il trasporto delle prime salme fino al giardino del premier ci ha finora pensato una norma igienica ottocentesca introdotta da Napoleone Bonaparte: l'editto di Plombières, quello che spinse Ugo Foscolo a scrivere "I Sepolcri". Stando a quella legge la cripta è troppo vicina alla villa per poter ospitare i defunti. Oggi però si è accesa una speranza. Nel 2003 il ministro per le Infrastrutture Pietro Lunardi ha introdotto nella legge obiettivo sulle grandi opere (quella sul Ponte di Messina e sulle autostrade) un codicillo che modifica i requisiti di distanza delle tombe dai centri abitati. Il no alle sepolture sempre opposto dal Comune potrebbe insomma essere dribblato. Ma non facilmente, avvertono i tecnici del municipio. La documentazione depositata è tutta da interpretare. Nella prima richiesta, presentata nel 1986 (tre anni prima della morte di Luigi Berlusconi) si parla di "cappella gentilizia", nel 1991 di "gruppo scultoreo con deposito". Una differenza di non poco conto. I lacci e lacciuoli della burocrazia, per dirla con Berlusconi, anche questa volta rischiano di intralciare il suo cammino verso la vita eterna.