I membri dell'Idf hanno detto di aver seguito gli ordini diretti dei loro superiori di colpire civili affamati nei luoghi di distribuzione degli aiuti, definiti come "campi della morte". Lo riporta un'inchiesta di Haaretz

Gaza, i soldati israeliani hanno ammesso di aver deliberatamente sparato e ucciso palestinesi disarmati in attesa di aiuti

"Quando il centro apre, i colpi si fermano e loro sanno che possono avvicinarsi. Il nostro modo di comunicare è il fuoco". Diversi soldati dell'esercito israeliano hanno raccontato al quotidiano Haaretz di aver sparato deliberatamente contro palestinesi disarmati che si trovavano nei punti di distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza. Secondo le testimonianze raccolte, i comandanti avevano dato ordini diretti di aprire il fuoco anche se era chiaro che le persone non rappresentavano alcuna minaccia: "Non conosco nemmeno un caso in cui ci sia stato fuoco di ritorno. Non ci sono nemici, né armi", si legge in una delle testimonianze raccolte. Un militare ha definito quei centri di distribuzione come veri e propri "campi di morte" ("killing fields" in inglese), spiegando che nella sua postazione venivano uccise tra una e cinque persone ogni giorno. "Li trattiamo come una forza ostile: nessuna misura di contenimento, niente gas lacrimogeni. Solo munizioni, mitragliatrici pesanti, lanciagranate, mortai", ha confessato in forma anonima. 

 

Per quasi tre mesi, a partire da marzo, Israele ha bloccato completamente l’ingresso di aiuti e beni a Gaza, aggravando la già drammatica crisi alimentare che colpisce i due milioni di abitanti della Striscia. A fine maggio, è iniziata la distribuzione limitata di pacchi alimentari in quattro luoghi selezionati, organizzata dalla controversa Gaza Humanitarian Fund (GHF), un'organizzazione sostenuta da Israele e dagli Stati Uniti. Un'apertura non derivante da preoccupazioni riguardo alla situazione umanitaria, ma da ragionamenti di tipo strategico e reputazionale. "Per completare la vittoria, non dobbiamo arrivare a una situazione di carestia, né dal punto di vista pratico, né da quello diplomatico. Nessuno ci sosterrebbe", aveva dichiarato il premier Benyamin Netanyahu. Prima dell'ultima interruzione degli aiuti, arrivata giovedì 26 giugno, i centri restavano aperti solo un’ora al giorno, secondo quanto riferito da Haaretz. E ogni giorno i militari israeliani hanno sparato sulla folla. Secondo i dati riportati, sono stati uccisi almeno 550 palestinesi in attesa di ricevere aiuti. I feriti sarebbero più di 4 mila. Esperti delle Nazioni Unite hanno più volte accusato l’esercito israeliano di usare la fame come arma di guerra. L’Unicef ha segnalato un incremento allarmante dei casi di malnutrizione infantile: solo nel mese di maggio, 5.119 bambini tra i sei mesi e i cinque anni sono stati ricoverati per malnutrizione acuta.

 

Quindici organizzazioni per i diritti umani e legali hanno scritto una lettera in cui si accusa la Gaza Humanitarian Fund di potenziale complicità in gravi violazioni del diritto internazionale. La distribuzione privatizzata e militarizzata, si legge, è "disumanizzante, frequentemente letale e contribuisce allo sfollamento forzato delle stesse persone che dovrebbe aiutare". La fame come strumento di guerra e la deumanizzazione costituiscono due dei principali elementi che hanno spinto la Corte internazionale di giustizia a chiedere già a gennaio del 2024 che Israele adottasse misure immediate per prevenire il genocidio dei palestinesi di Gaza. I "campi di morte" della Ghf sono una sintesi perfetta di queste due atrocità: civili affamati e attirati vicino ai centri per poi essere uccisi come topi in trappola. 

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