Il bombardamento americano e la corsa iraniana al nucleare sono due eventi distinti ma profondamente intrecciati. Insieme hanno contribuito a rompere i delicati equilibri internazionali, hanno alimentato rivalità storiche creando un effetto domino potenzialmente incontrollabile. Un quadro fosco che la tregua non modifica.
L’ordine mondiale, già fiaccato dalla guerra in Ucraina, dal riarmo globale e dalla crisi del multilateralismo, entra così in una nuova fase di disordine strutturale dove, senza regole condivise e rispettate, ogni crisi locale può trasformarsi in un incendio incontrollabile.
Donald Trump, l’uomo che aveva fatto della critica all’interventismo militare uno dei suoi cavalli di battaglia — accusando i Bush, i Clinton, gli Obama di aver dissanguato l’America in guerre inutili — ha firmato un atto che ha rischiato di pregiudicare per sempre i rapporti tra Washington e Teheran, oltre a infliggere un duro colpo all’intero equilibrio geopolitico mondiale.
A guidarlo, nonostante le mille smentite e le promesse ritrattate, non è stato il Congresso, né il suo elettorato, né i consiglieri militari. Secondo alcuni osservatori politici internazionali, con ogni probabilità, è stato Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, oggi politicamente accerchiato, ma strategicamente determinato.
Dopo il walzer dei dazi, è stato il primo gesto concreto della nuova presidenza americana. Un gesto che ha spiazzato la stessa galassia Maga (Make America Great Again), il movimento che aveva scelto Trump proprio perché lo riteneva l’unico in grado di tirare l’America fuori dalle sabbie mobili del Medio Oriente.
Tra l’altro l’attacco ha avuto come prima conseguenza anche quella di rinsaldare il regime degli Ayatollah, almeno per ora. A Teheran migliaia di persone sono scese in piazza. La bandiera americana bruciata assieme a quella israeliana, mentre l’odio verso l’Occidente ha ridato fiato a un nazionalismo che negli ultimi tempi sembrava sopraffatto dalle proteste dell’opposizione interna.
E se da una parte l’azione americana sembra aver per ora scongiurato il possesso di ordigni nucleari da parte degli iraniani, sta anche avendo effetti a catena che travalicano il Medio Oriente. La Russia e la Cina, da tempo allineate su un asse anti-occidentale, hanno condannato l’attacco. Lavrov, il ministro degli Esteri russo, ha detto: «Se ognuno è autorizzato a interpretare il diritto all’autodifesa come crede, il mondo rischia di sprofondare nel caos completo». Parole lucide, ma anche inquietanti, pronunciate da chi tre anni fa invase l’Ucraina proprio in nome dell’autodifesa.
E così gli Stati Uniti che hanno dovuto gestire non solo la rappresaglia possibile di Teheran, ma anche l’ostilità crescente di Mosca e Pechino hanno impresso una brusca frenata annunciando la tregua.
Rimane un interrogativo al quale nessuno per ora sa rispondere, come bene spiega nel suo articolo a pag. 16 il nostro Daniele Mastrogiacomo: dove sono finiti i 400 chili di uranio arricchito al 60 per cento di purezza, primo step verso la costruzione dell’atomica iraniana? Nessuno lo sa. Non lo sanno gli americani, non lo sanno i servizi segreti israeliani, non lo sanno gli ispettori della Aiea.
Sul piano economico, il prezzo del petrolio è già schizzato in alto. I mercati tremano. E nuove sanzioni si profilano all’orizzonte, con effetti devastanti sugli scambi globali e sulle economie più fragili. E nel frattempo, cresce la minaccia terroristica: non solo in Medio Oriente, ma in ogni luogo dove la bandiera americana rappresenta oggi, più di ieri, un bersaglio. Insomma il prezzo sarà altissimo. Per tutti.