I resti dell'attentatore di re Umberto I tornano in Basilicata. Ma nel suo paese si riaccendono le polemiche. E qualcuno non lo vorrebbe nemmeno seppellire
Povera Rosina, ce l'hanno tutti con lei. E il vicepremier Francesco Rutelli che da Roma le dà lezioni di 'tolleranza e civiltà'. E il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, che da Potenza le tuona 'basta'. E quella Assunta Borzacchiello, direttrice del Museo criminologico di Roma, che le mette fretta. Anche il ministero di Grazia e Giustizia di Clemente Mastella non la lascia in pace. E tutto per un cranio e un cervello. Quelli di Giovanni Passannante, cuoco anarchico lucano, che dal 1936 sono esposti al Museo criminologico. Passannante nel 1878 aggredì con un coltellino re Umberto I, in visita a Napoli, graffiandolo a un braccio. Fu condannato a una detenzione disumana e, dopo la morte nel 1910, decapitato. Ora in tanti ne chiedono la sepoltura. Pure quell'anarchico di Gino Paoli (vedi 'L'espresso' n. 11) e quel 'teatrante' di Ulderico Pesce, che gira le piazze con 'L'innaffiatore del cervello di Passannante' e la chiama 'la Margherita di Savoia'.
Gìà perché lei, Rosina Ricciardi, dal 1999 sindaco della Margherita del Comune di Savoia di Lucania, il paese che diede i natali a Passannante (all'epoca si chiamava Salvia, ma i Savoia dopo l'attentato ne cambiarono il nome), ha promesso che Passannante lo riporterà a casa. Ma la politica ha i suoi tempi, anche in Lucania. E sono passati 'appena' otto anni da quando l'allora ministro di Grazie e Giustizia Oliviero Diliberto firmò il nulla osta alla sepoltura di Passannante. Atto ora confermato dal ministero di Mastella che scrive: "Il ritiro dei reperti anatomici del Passannante non è stato effettuato per motivi organizzativi espressi dal Comune di Savoia di Lucania". Che diamine, un funerale mica si improvvisa così, ci vuole tempo. E la Ricciardi non ha un minuto libero.
Deve ricevere in Comune il segretario dell'Unione monarchica, Sergio Boschiero. Organizzare il convegno 'Riflessioni per non dimenticare'. Preparare la pizza 'chiena' per Pasqua. E il 1 maggio celebrare la festa dei lavoratori con il principino-stakanovista Emanuele Filiberto, invitato a Savoia. E il 16 maggio c'è la festa di San Rocco, protettore del paese, che 'incoraggiato dai fedeli guarisce dalla peste'. E tra parrucchiere e fascia tricolore da stirare, come fa la Rosina a pensare pure al funerale di Passannante che il presidente De Filippo le ha imposto per l'11 maggio? E poi, perché seppellirlo? La Ricciardi ha un'idea migliore, come ha spiegato alla giunta nel consiglio del 29 marzo: teschio e cervello del Passannante mettiamoli in Comune, che quando sarà pronto il Castello, ora in restauro, lei ha già individuato una bella sala dove esporli. Assieme ai 40 mila cimeli fascisti della prestigiosa collezione Vernotico, acquistata dal sindaco. Insomma: si paga il biglietto e si ammirano l'anarchico e il balilla.
Un migliaio di abitanti, 800 metri di altitudine, eccola qui Savoia di Lucania. Due bar, una trattoria, nessun cinema. Ma il sabato si può andare all'Efab di Tito Scalo: c'è la rumba con Ramon y Teresita e la 'Noche scabrosa' con Mikael Kenta e Nathalia Bush (parente?). La domenica tutti allo stadio: il Savoia ospita la capolista Corleto. Nella piazza del Municipio una stele ricorda i caduti della Grande Guerra. C'è pure un Passannante Pietro, 8 reggimento di fanteria, morto il 1 luglio 1918. Più avanti, una macina in pietra per le olive, donata al Comune 'dagli eredi della famiglia Parrella'. Nel paese convivono, male, due anime: quella del Comitato pro Salvia, che chiede la sepoltura di Passannante e un referendum per ripristinare l'antico nome, e il Comitato pro Savoia, di tutt'altro avviso.
Savoia è un piccolo borgo del 1200. Strade pulite, case ben tenute e murales ovunque. Molti ispirati a San Rocco. Accanto al municipio, sotto un portico, ce ne sono due dedicati all'anarchico. C'è anche un suo pensiero: "I regni sorti dalle rivoluzioni cadono con le rivoluzioni". Entriamo nel Castello, una rocca del 1600, ma completamente sventrata. Alcune stanze sono affrescate da dipinti sbiaditi. Un martello pneumatico è al lavoro. Con i tempi della Ricciardi ci vorranno almeno dieci anni per ristrutturarlo. "Ma Emanuele Filiberto ha promesso che ci farà una donazione", dice un sostenitore del Comitato pro Savoia. "Sì, di slot machine, quelle per cui è indagato suo padre Vittorio Emanuele a Potenza", ironizza un altro del Comitato pro Salvia. Accanto al Castello, in vicolo del Popolo c'è la casa di Antonio Parrella, presidente del Comitato pro Savoia. L'ha chiamata 'Domus Leporis' e sopra il portone d'ingresso c'è il suo motto: 'Nobilitas et labor honorem ferunt'. Parrella è il cognato molto influente e ascoltato dell'assessore Michele Buongermino, Margherita.
Peppino Salvatore e Michele Parrella del Comitato pro Salvia accompagnano le sorelle Lina e Michela Passannante a una visita del paese. Loro discendono da un ramo dei Passannante che, subito dopo l'aggressione al re di Giovanni, si rifugiò a Vietri di Potenza per sfuggire a possibili rappresaglie. Al cimitero, su un prato che si affaccia sulla suggestiva Valle del Melandro, Salvatore e Parrella vorrebbero seppellire i resti dell'anarchico. "Un mese fa", raccontano Lina e Michela, abbiamo scritto al presidente De Filippo: "Gli abbiamo chiesto la delega per portare a casa a nostre spese i resti di Giovanni. E un funerale in forma privata, per evitare ogni strumentalizzazione. Volevamo seppellirlo il 25 aprile. Nessuno ci ha ascoltato. Pochi giorni fa ci ha telefonato la segreteria del presidente e ci ha annunciato che le esequie avverranno l'11 maggio. Possibile che quei resti non ci possano essere restituiti e debbano essere ancora ostaggio della politica?".
Angiolina Langone, classe 1909, ci tiene a essere chiamata coltivatrice diretta ("Ho tanti ulivi da curare"). A passo spedito sale verso la chiesa di San Nicola di Bari. Le campane chiamano alla messa vespertina. "Mi ricordo un Passannante, Giuseppe. Faceva la fame. Zappava la terra e intrecciava cesti di paglia", dice Angiolina: "Ma quel Giovanni, poverello, fatelo tornare. Che gli hanno fatto passare per una sciocchezza". In chiesa don Pompeo si prepara per la funzione. "È giusto dargli degna sepoltura", afferma: "Giovanni Passannante venne battezzato qui, il 20 febbraio 1849, il giorno dopo la nascita, come si usava a quei tempi". Poi, il parroco ci porta in sacrestia e da una finestra ci mostra nella campagna ai piedi del paese un boschetto di cipressi: "Era il vecchio campo santo. Da tempo è abbandonato. Perché non seppelliamo Giovanni lì, e lo chiamiamo il cimitero della Memoria?". Sarebbe cosa buona e giusta.