Nella visione del centrodestra, la privatizzazione dell'Eni è stata una beffa per il mercato e che il peggio delle partecipazioni statali è tutto men che sepolto

Se Sergio Marchionne avesse annunciato l'intenzione di spostare 200 milioni dalle casse della Fiat a quelle della famiglia Agnelli, ancorché vincolandone l'impiego in opere di beneficienza, si può star certi che sarebbe successo un finimondo. Dal 'parterre' di Piazza degli Affari su su fino alla Consob si sarebbero levate alte grida di denuncia e di riprovazione. Il suo omologo all'Eni, Paolo Scaroni, ha dichiarato la medesima volontà a favore del suo maggiore azionista, lo Stato, e non è successo praticamente nulla: qualche sparuto rilievo critico su parte della stampa, senza che le autorità di vigilanza alzassero almeno un sopracciglio.

Va bene che si vive in un paese nel quale il tema del conflitto d'interessi è stato rimosso dall'agenda politica e finanziaria per non disturbare il manovratore di Palazzo Chigi. Ma la specifica insensibilità generale di fronte a simile iniziativa dell'amministratore delegato dell'Eni è un ulteriore campanello d'allarme. Con tale mossa, infatti, il cerchio di potere attorno al governo Berlusconi fa capire che, nella visione del centrodestra, la privatizzazione dell'Eni è stata una beffa per il mercato e che il peggio delle partecipazioni statali è tutto men che sepolto. Tanto che lo Stato (o, meglio, chi oggi lo occupa) e i suoi novelli boiardi possono infischiarsene di gestire un'azienda che è quotata in Borsa con ampio ricorso a capitali privati italiani ed esteri: sopra tutto e tutti, fuori di ogni elementare regola mercantile, conta l'arbitrio dell'azionista pubblico e dei suoi scherani.

Tanta arroganza è pessima avvisaglia di una pericolosa marcia indietro nel processo, appena avviato, di liberazione delle aziende già di Stato dalla manomorta del potere politico. Un segnale sconfortante che si aggiunge ad altri non meno significativi. Uno per tutti: Alessandro Ortis, presidente dell'Authority per l'energia, è tornato a denunciare il ruolo preponderante che l'Eni detiene nella rete distributiva del gas, sollecitandone lo scorporo dal gruppo per avviare un minimo di reale concorrenza su quel mercato. Ebbene, con l'aria di chi può permettersi di ostentare assoluta noncuranza per la voce dell'Autorità di settore, il 'vigilato' Scaroni ha replicato definendosi annoiato dalla riproposizione della questione.

Guarda caso: subito dopo questo istruttivo scambio di vedute, la maggioranza di governo, con inedita e irrituale iniziativa, ha minacciato di azzerare l'attuale vertice dell'Autorità per l'energia ben prima della sua naturale scadenza. Un avvertimento a Ortis affinché ammorbidisca i suoi fervori antimonopolistici verso l'Eni? O addirittura la premessa di un suo siluramento per rendere un favore all'annoiato Scaroni? Non ci vorrà molto tempo per capirne di più.

Certo è che la concomitanza di questo scontro con la trista vicenda dei 200 milioni elargiti dall'Eni all'azionista Tesoro getta una luce obliqua sul tutto. Anche se non esistono elementi sicuri per collegare in una sorta di patto di scambio l'attacco all'Authority con i soldi promessi a Tremonti, il solo fatto che un simile dubbio possa restare appeso nell'aria denuncia il ritorno a un clima da Repubblica bananiera.

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