Cultura
dicembre, 2009

Chi censura Facebook

Per evitare guai, il social network ha creato un sistema di filtro sui contenuti degli utenti. Un precedente che rischia di soffocare per sempre il Web 2.0

I contenuti degli utenti prima di tutto. E la loro circolazione libera per Internet senza freni e paletti. Da anni il mantra del Web 2.0 è questo: nei blog tutti possono dire la loro, su Wikipedia chiunque può aggiornare qualsiasi voce, su Flickr tutti gli aspiranti fotografi possono mettersi in mostra e così via, in infinite possibilità e siti. Ma su Facebook, una delle piattaforme di maggior successo del Web 2.0 con i suoi oltre 300 milioni di iscritti in tutto il mondo è così? Non proprio.

Negli ultimi tempi le regole di pubblicazione si stanno facendo sempre più stringenti e nella rete degli utenti censurati non cade solo chi viola palesemente la legge (per esempio con la pubblicazione di foto pedoporno) ma anche chi tenta di usare la creatura di Mark Zuckerberg (che nel 2004, da studente dell'Università di Harvard, mise in piedi il social network) per motivi del tutto legittimi e innocui.

E' quello che è per esempio successo a un utente italiano che qualche settimana fa ha provato a condividere su Facebook la notizia del quotidiano inglese 'The Times' (smentita dal governo italiano) secondo la quale l'Italia avrebbe pagato delle tangenti ai talebani in Afghanistan. Non appena ha provato a inserire il link che portava all'articolo del sito del giornale britannico, l'account è stato sospeso. Nessuno degli 'amici' digitali poteva più accedere al suo profilo che non si poteva più aggiornare con l'inserimento, per esempio, di nuovi 'status' o immagini. Il tutto perché, come diceva il sistema, era "stata rilevata un'attività sospetta nel tuo account Facebook, che è stato temporaneamente sospeso come misura di precauzione".

Nelle ore successive l'account è stato riattivato. Ma per ritornare in pubblico l'utente ha dovuto cambiare password. E soprattutto non gli è mai arrivato alcun messaggio che gli comunicava il motivo dell'immotivato blackout. 'L'espresso' ha dunque provato a chiedere spiegazioni a Facebook dell'accaduto, ma dal neonato ufficio commerciale italiano non è arrivata alcuna risposta. Neanche da Dublino, dove invece ha sede il quartier generale europeo del social network, sono state fornite delle spiegazioni chiare.

Ma, almeno lì, abbiamo trovato un interlocutore che ha prestato attenzione alle nostre domande. Elizabeth Linder dell'ufficio comunicazione ha detto che, "se gli utenti trovano sul sito dei contenuti che secondo loro violano i termini di utilizzo, possono segnalarcelo: controlleremo i contenuti e li rimuoveremo se opportuno". In altre parole qualcuno ha segnalato che il link del 'Times' violava le condizioni di utilizzo e lo staff di Facebook ha ritenuto di oscurare temporaneamente l'account in questione. In realtà, leggendo i termini di Facebook, i contenuti dell'articolo in questione non infrangevano alcuna 'norma' del codice del social network come "Non denigrare, intimidire o molestare altri utenti" oppure "Non usare Facebook per scopi illegali, ingannevoli, malevoli o discriminatori".

Il problema è che quello che è successo per il link al 'Times' non è un caso isolato. Anzi: è ormai sempre più frequente su Facebook che utenti di tutto il mondo vedano i loro account oscurarsi. I temi che mettono di più in guardia lo staff di Facebook (con sospensioni temporanee o permanenti) sono tre: politica, sesso o questioni non ben definite dal punto di vista legale come la pirateria on line.

Ma la colpa di questi oscuramenti non è solo di uno staff fatto di persone che verificano le segnalazioni degli utenti. Facebook - visto l'elevato numero dei suoi utenti - è infatti presidiato anche da un sistema di software che controlla quello che gli utenti dicono dentro il social network. E che - in maniera automatica - chiudono pagine e utenti. È accaduto, per esempio, all'utente Paul Divertente il quale ha fondato il gruppo 'Silvio Berlusconi Nobel per la Mafia 2010': alla fine di ottobre Facebook ha cancellato il gruppo che contava più di 2 mila utenti (oggi il gruppo è stato rifondato e per ora non è stato oscurato). Anche la pagina Facebook del blog satirico Spinoza è stata misteriosamente bloccata. E alcune settimane fa la 'scure' telematica si è abbattuta pure sul profilo di Patrizia Vendola, sorella di Nichi, governatore della Puglia, che ha visto il suo account bloccarsi quando stava pubblicando del materiale elettorale. Rimanendo in Puglia, poi, anche il profilo dell'assessore regionale Fabiano Amati (del Pd) è stato recentemente oscurato (e poi riattivato).

"Tutti questi blocchi", dice Luca Conti, uno dei maggiori esperti italiani di Web 2.0 e autore del libro 'Fare Business con Facebook' edito da Hoepli, "non sono frutto di una censura 'voluta', tanto più che nella maggior parte dei casi sono sospensioni temporanee. Il problema riguarda i filtri automatici, necessari per il rapporto che c'è tra il numero di dipendenti di Facebook (qualche centinaia, ndr) e di utenti". Una situazione che però è simile a quella di altri social media come YouTube o Wikipedia che hanno incentrato i loro sistemi di controllo sul monitoraggio degli altri utenti. "Ma su Facebook questi sistemi non sono completamente replicabili", continua Conti: "Su YouTube o Wikipedia ogni contenuto è pubblico e quindi consultabile da tutti gli utenti di Internet.

Nel caso di Facebook, invece, molti dei contenuti sono privati ed è impossibile che tutti gli utenti possano segnalare eventuali abusi". Ecco perché Facebook è molto attento a verificare quello che i suoi iscritti pubblicano e nell'ultimo anno ha potenziato i suoi sforzi in questo senso. Il controllo del social network si sta facendo sempre più forte anche perché deve tutelare il suo business: "Le aziende hanno bisogno di regole certe prima di decidere di investire in una campagna pubblicitaria su Facebook", dice Conti.

Qualsiasi sia il motivo, però, il social network più popolare del mondo sembra non aver trovato ancora una strada efficiente (e non invasiva) per il controllo dei contenuti dei suoi utenti. Anche quando questi - per comunicare tra loro - usano i messaggi privati, il servizio di mail interno a Facebook. Qualche mese fa, infatti, le comunicazioni private di alcuni utenti sono state bloccate perché al loro interno c'erano link che portavano a servizi p2p per il download di materiale protetto da copyright.

"Il punto è che Facebook non ha solo il diritto di censurare i messaggi che ritiene inopportuni, ma in alcuni casi ne ha persino l'obbligo, per esempio se c'è rischio di querela, perché è corresponsabile del contenuto", spiega l'avvocato esperto di questioni informatiche e digitali Andrea Monti: "Dal punto di vista legale le piattaforme come Facebook hanno due strade: o dichiarare di disinteressarsi dei contenuti e quindi non controllarli in nessun modo, oppure, se se ne interessano, ne sono anche responsabili. Probabilmente, per il tipo di business che ha Facebook, i legali hanno consigliato la seconda strada".

La questione è molto spinosa e riguarda tutto il futuro del Web 2,0, cioè della Rete fatta con i contenuti degli utenti. Perché la possibilità di inserire un sistema di filtro più o meno severo e più o meno automatico rischia di diventare una prassi obbligatoria (almeno in Italia) se passa il principio per cui la piattaforma che ospita i contenuti in questione è responsabile di quello che vi viene immesso. A questo proposito, potrebbe essere decisiva (perché farà giurisprudenza) la sentenza penale di Milano su Google Video e sui suoi dirigenti, accusati di non aver prontamente cancellato un video in cui alcuni bulli deridevano un disabile.

Quanto poi questi sistemi di filtro saranno intelligenti e corretti, è tutto da verificare. Su Facebook, per esempio, la pagina del 'Comitato Riina libero' dev'essere rispettosa delle norme del social network, visto che è lì da mesi e conta quasi 2.800 iscritti. Che continuano a sognare il boss mafioso "alla guida dell'Italia".

www.chip-chip.it

ha collaborato Tiziana Moriconi

L'edicola

In quegli ospedali, il tunnel del dolore di bambini e famiglie

Viaggio nell'oncologia pediatrica, dove la sanità mostra i divari più stridenti su cure e assistenza