Telecamere e un unico foro dall'ombelico. Per risolvere ernie, patologie dell'intestino, della prostata e del polmone. E pure tumori. Ma in Italia le cure soft non decollano. Ecco perché e quanto potremmo risparmiare
Un unico foro, in corrispondenza dell'ombelico, attraverso cui passa l'organo malato da asportare. Così, con una semplice incisione in più di pochi millimetri per inserire il drenaggio che consente di mantenere pulita la sede dell'intervento, si può eliminare una prostata malata, una cisti dell'ovaio, addirittura una porzione di intestino. Magari sfruttando la naturale cicatrice dell'ombelico per operare dall'esterno, seguendo l'intervento su una telecamera, e senza ricorrere al bisturi. La chirurgia del terzo millennio è 'single port', ovvero: unico accesso, l'ultima frontiera della laparoscopia. Nella quale i chirurghi italiani sono all'avanguardia nel mondo. E questo rende ancora più surreale il paradosso: chirurghi capaci di perfezionare e rendere ancora meno invasive le tecniche laparoscopiche, ma strutture ospedaliere spesso troppo lente e farraginose, incapaci di recepire e estendere su larghissima scala la ormai consolidata tecnica laparoscopica, ovvero l'asportazione di una parte malata dell'organismo senza dover aprire l'addome, attraverso dei piccoli fori nella pelle in cui il chirurgo inserisce degli strumenti operatori molto sottili: l'intera azione chirurgica viene quindi praticata dall'esterno, e guidata da una telecamera in grado di riprodurre sui monitor della sala operatoria quanto sta avvenendo all'interno dell'addome.
Visti i progressi della tecnologia ci sarebbe da pensare che il vecchio bisturi sia ormai andato in pensione, almeno per alcuni interventi. Ma invece non è così. A più di venticinque anni dalla prima asportazione di colecisti per via laparoscopica, ancora oggi numerose operazioni vengono eseguite secondo la via classica pur se la chirurgia laparoscopica viene considerata il molto migliore per questo tipo di intervento. Secondo i dati del ministero della Salute, su 102.119 colecistectomie eseguite in un anno, oltre il 17 per cento degli interventi è stato fatto ricorrendo al classico bisturi. Eppure l'intervento assistito da telecamera consente di ridurre il dolore, di tornare rapidamente alla vita normale, di avere meno complicazioni. Attenzione però: l'esperienza di chi opera fa la differenza, come dimostra il fatto che il pericolo di ricorso a un intervento tradizionale per correggere problemi emersi nell'intervento laparoscopico varia dallo 0,6 al 13 per cento.
La colecistectomia è solo un esempio di come in Italia, pur se esistono eccellenze, molta strada sia ancora da fare per offrire standard simili su tutto il territorio. "La chirurgia laparoscopica nel nostro paese è a livelli avanzatissimi, tanto che molte delle più importanti casistiche in questo settore sono opera di chirurghi italiani", fa notare Rocco Bellantone, direttore della Chirurgia Endocrina al Policlinico Gemelli di Roma: "Purtroppo però soffriamo di una distribuzione dei centri di eccellenza a macchia di leopardo, unita a una cronica e grave assenza di controlli di qualità. Il cittadino è disorientato e spesso disinformato. E trova molte difficoltà a poter scegliere l'intervento migliore".
Ma se il cittadino è disorientato, chirurghi e medici non lo orientano sempre verso la soluzione meno invasiva. Prendiamo ad esempio la chirurgia laparoscopica del colon: oggi soltanto in un caso su cinque l'asportazione di una porzione di questo organo viene eseguita senza bisturi, mentre in Francia la percentuale è pressochè doppia e anche altre grandi nazioni si stanno attrezzando per aumentare il ricorso a questa strada chirurgica. Anche perché, a guardare i costi, l'addio al bisturi tradizionale non appare affatto sconveniente. Secondo i calcoli del rigoroso e morigeratissimo Nice (il National Institute for Clinical Excellence) inglese, il costo di un intervento per via laparoscopica è maggiore di quello dell'operazione classica (1.703 sterline contro 1.386), ma questa lieve differenza pressoché si azzera se si considerano gli altri costi ospedalieri legati alla procedura chirurgica classica (la differenza media è alla fine di poco meno di 250 euro per paziente). Ovvio che il malato ne ha, invece, un beneficio straordinario in termini di qualità della vita post ospedaliera (durata della degenza e della convalescenza, ripresa delle funzioni generali e ritorno alla vita normale). Queste valutazioni hanno fatto si che lo stesso Nice, noto per badare molto al risparmio, abbia creato nel 2007 un apposito programma nazionale di training chiamato Lapco (National Training Programme in Laparoscopic Colorectal Surgery), con un finanziamento complessivo di venti milioni di sterline, che ha visto il coinvolgimento di sedici ospedali del Regno Unito, di cui dieci dotati di appositi centri di addestramento.
Perché non c'è dubbio che per vincere la sfida della modernità occorra puntare sulla selezione dei centri migliori e sulla "formazione deve partire dai giovani chirurghi delle scuole di specializzazione", annota Francesco Corcione, direttore del Centro di laparoscopia, dell'ospedale Monaldi di Napoli: "All'indomani del pronunciamento del Nice, molti paesi hanno dato vita ad una vasta campagna di informazione sui vantaggi di questa tecnica, destinata a medici e cittadini. Ed oggi in questi paesi il trend di adozione è costantemente in crescita, con maggior beneficio del paziente e con un risparmio per il Servizio sanitario nazionale".
Ma la maggiore diffusione di tecniche così avanzate implica una griglia di serrati controlli: si tratta di interventi che non possono eseguire tutti e il cui successo dipende in larghissima misura dalla mano del chirurgo ma anche, e forse soprattutto, dalla qualità del centro ospedaliero. Come considera Carlo Augusto Sartori, direttore del Dipartimento Chirurgico dell'Ospedale di Castelfranco Veneto: "Le Commissioni regionali dovrebbero valutare quali ospedali indicare per l'accreditamento e l'insegnamento della tecnica laparoscopica. E la valutazione dovrebbe andare sia nella direzione dei grandi centri ospedalieri ad alto volume di prestazioni, sia dei centri di laparoscopia di riconosciuta esperienza e specializzazione".