Il pacchetto di incentivi economici avrebbe finalmente offerto l'occasione per risarcire i neri d'America di storiche ingiustizie. Ma il presidente non ha voluto coglierne l'opportunità

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Prima della sua visita di luglio in Ghana Obama ha fatto sapere di essere infastidito ogni qualvolta sente dire che i problemi dell'Africa sono "in qualche modo imputabili al neocolonialismo, che l'Occidente è stato coercitivo, o ancora che è tutta colpa del razzismo", e ha concluso dicendo: "Io non credo alle giustificazioni". Adesso ha inviato più o meno lo stesso messaggio al suo Paese, indottrinando le famiglie di colore sulle responsabilità individuali. Nel frattempo, il presidente ha accuratamente evitato di accennare, anche solo vagamente, a qualsiasi cosa potesse passare per una questione di colore, dalle incarcerazioni di massa all'abbandono nel quale è stata lasciata la città di New Orleans.

Uno dei timori maggiori della nuova amministrazione è che si possano risvegliare istanze di risarcimento per le ingiustizie razziali subite dai neri nel periodo della schiavitù e mai affrontate dal governo, visto che è diffusa la percezione che per dare qualcosa ai neri e alle altre minoranze sia necessario toglierla ai bianchi. A causa del piano di stimoli, in questo periodo circola una quantità incredibile di soldi che non appartengono ancora a nessun gruppo etnico in particolare. E l'approccio di Obama al piano è stato giustamente criticato per essersi lasciato sfuggire una grossa occasione: il pacchetto da 787 miliardi di dollari è una disorganica pesca miracolosa, ma che ha poche ambizioni di risolvere concretamente uno qualsiasi dei problemi che si limita a mordicchiare. Ricomporre una volta per tutte, finalmente, le sperequazioni e i divari lasciati dalla schiavitù e dalle leggi Jim Crow è un'idea-incentivo buona come qualsiasi altra. "Se il governo può salvare in extremis dal fallimento Aig", ha sottolineato Roger Wareham, legale addetto ai risarcimenti, "allora può anche dire: 'Salveremo tutti i connazionali di origine africana, visto quanto è accaduto loro da un punto di vista storico'".

Ciò che Obama ha di affascinante (e irritante al tempo stesso) è la capacità di riuscire a persuadere così tanti americani della correttezza e giustezza di una simile impresa. L'unica volta che durante la campagna elettorale ha fatto un discorso sulla razza, suscitato dalla controversia sorta in relazione al Reverendo Jeremiah Wright, ha raccontato come il lascito storico della schiavitù e della discriminazione legalizzata abbiano strutturalmente impedito agli afroamericani di raggiungere la piena eguaglianza. Si tratta di una storia non molto diversa da quella che gli attivisti come Wareham raccontano quando vogliono addurre validi motivi a sostegno delle loro richieste di risarcimento.

Obama ha pronunciato il suo discorso sei mesi prima del crollo di Wall Street, ma le forze a cui alludeva aiutano a spiegare perché sia avvenuto il crollo. Aveva detto: "Discriminazione legalizzata vuol dire che le famiglie di colore non poterono mettere insieme ricchezze significative da lasciare alle generazioni seguenti". Non a caso oggi molti di loro si siano affidati ai rischiosi mutui subprime. Nella città natale di Obama, Chicago, le famiglie di colore hanno avuto il quadruplo delle occasioni rispetto a quelle bianche di sottoscrivere un mutuo subprime.

La crisi della situazione economica degli afroamericani è stata certamente acuita e aggravata dalla crisi economica nel suo complesso. A New York, per esempio, il tasso di disoccupazione è aumentato quattro volte più velocemente tra i neri che tra i bianchi. Secondo il 'New York Times', le "insolvenze dei nuclei familiari si verificano tre volte più frequentemente nelle minoranze che nella maggior parte dei nuclei familiari bianchi". Se Obama ha fatto risalire il crollo di Wall Street al rifiuto di accordare un'ipoteca su aree deprezzate e a alle leggi Jim Crow, andando indietro nel tempo fino alla promessa mai mantenuta dei 40 acri e un mulo per ogni schiavo affrancato, un'ampia fetta dell'opinione pubblica americana potrebbe finalmente convincersi che eliminare le barriere strutturali che rendono impossibile un'autentica eguaglianza non sia nell'interesse delle sole minoranze, ma di chiunque voglia un'economia più stabile.

Da quando la crisi economica ha colpito, John Powell e il suo team del Kirwan Institute per lo studio della razza e l'etnicità dell'Università statale dell'Ohio si sono impegnati in un progetto che hanno battezzato 'Fair recovery', ovvero 'ripresa imparziale'. Esso delinea in documenti dettagliati che configurazione avrebbe esattamente un programma di stimoli all'economia se eliminare tutte le barriere che si frappongono alla realizzazione della piena eguaglianza fosse la sua idea di riferimento. Il progetto di Powell copre assolutamente tutto, dall'accesso alle tecnologie al nuovo sviluppo delle comunità. Analizziamone qualche esempio: invece di limitarsi semplicemente a costruire il sistema stradale dando primaria importanza ai progetti detti di 'shovel ready' (letteralmente 'pala in mano', ovvero progetti infrastrutturali statali veloci, già iniziati o che stanno per iniziare a breve), come prevede l'attuale piano di Obama, un approccio mirante a 'una ripresa imparziale' dovrebbe includere sostanziosi investimenti per le direttive di transito, tenendo conto che gli afroamericani in genere vivono molto più lontano dai loro posti di lavoro di qualsiasi altro gruppo etnico. Analogamente, un piano che intendesse seriamente prendere di mira le ineguaglianze apporterebbe miglioramenti dal punto di vista dell'efficienza energetica nei quartieri abitati da famiglie a basso reddito e, cosa ancora più importante, impiegherebbe impresari reclutati sul posto. Se unissimo questi programmi mirati all'opzione 'single payer' per l'assistenza sanitaria - in cui il governo sarebbe il principale responsabile delle fatture sanitarie - e a un piano che de-segreghi davvero (sul piano razziale) il sistema scolastico, otterremmo qualcosa di simile a quello che Randall Robinson aveva caldeggiato nel suo libro 'The Debt': "Un efficace Piano Marshall di risorse federali per risolvere definitivamente le diseguaglianze razziali".

Naturalmente, non c'è il rischio che Obama si cimenti in nulla di così audace. Nel suo 'discorso sulla razza di Philadelphia' il presidente americano ha dichiarato esplicitamente che la questione razziale è qualcosa che "questa nazione non può permettersi di ignorare"; che "se ci limiteremo a rinchiuderci nei nostri rispettivi angoletti, non saremo mai in grado di unirci e di trovare valide soluzioni a sfide importanti quali l'assistenza sanitaria, l'istruzione o la necessità di dare un buon posto di lavoro a ogni americano". Ma una volta che il suo discorso ha servito egregiamente lo scopo di salvare la campagna elettorale, evitando che rimanesse invischiata nello scandalo Wright, ha fatto un passo indietro. E da allora l'Amministrazione Obama non ha fatto altro che fare passi indietro rispetto alla questione razziale.

Gli attivisti che si occupano di politica pubblica riferiscono che la Casa Bianca è interessata a prendere in esame soltanto progetti che siano neutrali rispetto alla razza: nulla, insomma, che prenda specificatamente a cuore l'elettorato storicamente più svantaggiato. I suoi programmi per l'edilizia e l'istruzione non affrontano la de-segregazione, e l'entusiasmo di Obama per le charter school (scuole pubbliche autorizzate) - alcune delle scuole maggiormente segregate del Paese - potrebbe aggravare il problema. Quando gli si rivolgono domande nello specifico su cosa stia facendo la sua Amministrazione per risolvere l'impatto finanziario della crisi così gravemente asimmetrico a danno degli afroamericani e dei latinoamericani, Obama regolarmente offre in risposta una variazione sul solito tema: aiutando l'economia ed espandendo i benefit, proprio tutti ne trarranno giovamento - "black, brown, and white" - e chi è maggiormente vulnerabile sarà aiutato più degli altri.

Tutto ciò è accolto con crescente costernazione dagli esperti d'ineguaglianze: estendere i sussidi alla disoccupazione e offrire una formazione lavorativa reca giovamento soprattutto alle persone che hanno appena perduto il loro posto. Ma arrivare a coloro che non hanno mai avuto un posto di lavoro ufficiale - molti dei quali oggi hanno anche un curriculum di reati vari - richiede una strategia molto più complessa. "Trattare nello stesso modo persone che hanno posizioni diverse potrebbe dare adito a ineguaglianze ancora più vistose", mette in guardia Powell, facendo notare che i programmi del New Deal come il Social Security aiutarono i bianchi ma lasciarono fuori i neri che lavoravano nelle aziende agricole e le donne che lavoravano in casa. Sarà difficoltoso determinare se ciò sta accadendo di nuovo, perché l'ufficio budget della Casa Bianca non tiene statistiche su che impatto i suoi programmi abbiano avuto sulle donne e sulle minoranze.

C'è stato chi ha presagito quanto stava per accadere. Il defunto attivista latinoamericano Juan Santos ha scritto durante la campagna elettorale un saggio circolato in molti ambienti nel quale sosteneva che la mancanza di volontà di Obama di parlare di questioni razziali (eccezione fatta per la sua campagna, dalle quali essa dipendeva) non è un trionfo del post-razzismo, ma del razzismo. Punto. Il silenzio di Obama, sosteneva Santos, è lo stesso silenzio con cui convive qualsiasi persona di colore in America quando comprende di potere essere bene accetta nella società dei bianchi a patto di non mostrarsi risentita per il razzismo. "Di regola, sul lavoro ce ne stiamo zitti. Nel mondo dei bianchi, di regola ce ne stiamo zitti. Obama è il simbolo vivente del nostro silenzio. È il nostro silenzio a caratteri cubitali. È il Silenzio candidato alla presidenza", aveva scritto Santos, che aveva anche previsto che "nel campo degli interessi dei Neri, Obama sarebbe stato un presidente Nero silenzioso, un imperatore Nero con la museruola".

Molti dei sostenitori di Obama hanno reagito incolleriti a queste parole: il silenzio di Obama secondo loro era una mera strategia elettorale. Ha fatto ciò che serviva per fare sì che i razzisti bianchi si sentissero a loro agio votando per un uomo di colore. Tutto ciò sarebbe cambiato, una volta che Obama avesse assunto la carica. Ma la decisione di Obama di boicottare la conferenza di revisione delle decisioni di Durban contro il razzismo ha dimostrato che la strategia della campagna elettorale sarebbe stata anche la strategia di governo.

Due settimane dopo il mio rientro da Ginevra (sede della conferenza), Rush Limbaugh (un commentatore politico di destra) ha esternato una nuova teoria ai suoi 14 milioni di ascoltatori. Obama, ha sostenuto, ha dato addosso all'economia intenzionalmente, così da dare più sussidi alla popolazione di colore. "L'obiettivo era più aiuti e più bollini sulle tessere annonarie. L'obiettivo era maggiori benefit per i disoccupati. L'obiettivo era uno Stato welfare in espansione. L'obiettivo, infine, era prendere le ricchezze della nazione e restituirle ai 'legittimi proprietari' della nazione. Pensate ai risarcimenti: pensate ai risarcimenti forzati se volete capire che cosa sta accadendo veramente". Lo sfogo è stato istruttivo. Non importa quanto Obama riesca a essere imparziale e neutrale in fatto di questione razziale. Le sue azioni saranno in ogni caso considerate da una buona parte del Paese attraverso la lente delle sue ossessioni razziali. Considerato che anche i suoi provvedimenti più contenuti e le sue misure tampone saranno accolti come se stesse dichiarando una guerra razziale, Obama ha poco da perdere se usa questa temporanea finestra politica per sanare alcune delle ferite razziali del Paese.

Harper's / UFS Inc. / Distribuzione Adnkronos
traduzione di Anna Bissanti