Cultura
11 ottobre, 2010

Cicciolina è opera mia

Una foto di Ilona Staller scattata da Riccardo Schicchi ha ispirato Jeff Koons. È nato un caso: qual è la copia, quale l'originale? Due mostre lo sveleranno

Cicciolina, al suo massimo splendore, è pressoché identica in tutte e due le foto. La grande onda dipinta nel fondale pure. E le finte rocce che diventano una comoda alcova sembrano molto, molto simili. Di più. Il fotografo è lo stesso: Riccardo Schicchi, che come un regista ha costruito il set. Ma la differenza, tra le due immagini è che una è solo una foto, e l'altra è un'opera. Ed è una differenza che si calcola in centinaia di migliaia di dollari, e sta tutta nel protagonista: Jeff Koons, artista americano all'epoca (primi Novanta) già famoso per aver trasformato in icona aspirapolveri, palloni e coniglietti. È cosa nota fin dai tempi di Duchamp: la firma dell'artista è più forte dell'opera. E nessuno si stupisce (tanto meno Schicchi) che la sola presenza di Koons trasformi un set pronto per l'hard, in progetto artistico, installazione, opera dell'ingegno concettuale e redditizia.

Accusare Koons di aver copiato Schicchi è come accusare Warhol di aver copiato la Campbell. E nessuno è così sprovveduto da non capire che è il gesto onnipotente dell'artista a imprimere all'immagine quel salto economico e culturale da un mondo ad un altro.

Però Schicchi ora ha deciso lo stesso di tirarle fuori dal cassetto le foto che hanno ispirato Koons. E di esporle in febbraio nella neonata galleria romana Orisa appena fondata dal regista Cristiano Bortone. Mentre un'altra, ben più famosa galleria a New York, la Luxembourg&Dayan, ha recuperato dai collezionisti ed esposto (6 ottobre-21 gennaio) "Made in Heaven", ovvero gran parte del "periodo hard" di cui Koons dopo il divorzio da Ilona Staller si vergognò al punto da ricomprare, distruggere e puntare a far sparire dalla faccia della terra i suoi artistici amplessi.

"La conosco questa storia", racconta Schicchi, "ho visto molte persone che si sono avvicinate a noi, non riuscire a vivere fino in fondo la loro liberazione, entrare in confusione e prendere a calci la loro vita per distruggerla. Forse è colpa mia, ma il mio compito è illuderli che esista il Paradiso in Terra". E Koons si gettò da solo tra le braccia del grande illusionista. Cominciò così. Come la storia di un fan ossessionato, di quelli che aspettano ore ai bordi di un red carpet. Cominciò così, nel 1990 circa, con un fax che Koons spedì negli studi di Schicchi per incontrare Cicciolina. Voleva vedere in carne e ossa l'idolo che aveva conosciuto fino allora solo dalle copertine dei dischi, e a cui aveva già dedicato una statua di straordinaria somiglianza con tanto di coroncina di fiori e orsetto. Jeff Koons sbarca in Italia e alla sola vista di questo angelo del sesso si scopre non solo artista, ma fine poeta capace di far fiorire parole tipo: "Cicciolina per me è la Vergine Eterna che può cancellare la colpa e la vergogna dalla vita. In nome di questo è il grande liberatore".

Non è tutta colpa sua. Sono cose che possono succedere a un ragazzo della Pennsylvania, figlio di un decoratore di interni e di una mamma molto casalinga, già indicato come erede naturale di Warhol e leader della riscossa delle "buone cose di pessimo gusto" dell'America profonda. Un bel giovanotto sano e sportivo di solida cultura pop che cala nell'universo color pastello di Cicciolina e confonde una pornostar ungherese con una divinità primigenia, i film hard con il Paradiso e Riccardo Schicchi con San Pietro.

"Era un giovane bello, molto ordinato e sempre pettinato", racconta Schicchi: "Sembrava un attore anni Cinquanta. Voleva assolutamente fare uno shooting con Ilona, affascinato da lei in modi quasi ossessivi. Cicciolina per lui, era l'opera perfetta, anzi l'incarnazione dell'opera perfetta. E lui poteva finalmente possederla. Quello che Koons però non aveva capito è che Cicciolina non sarebbe mai stata una "sua" opera, perché era una "mia" opera". Dunque il Nostro Artista finì come Pinocchio nel paese dei Balocchi. E non ci vuole molta fantasia per capire chi fu il Lucignolo che stordì completamente quel povero figlio dell'America puritana con tutta questa filosofia (e molta pratica) liberatoria e sessualmente rivoluzionaria.

Erano gli anni del Partito dell'Amore, dell'elezione di Cicciolina nelle liste dei radicali, dei comizi spogliarello di Moana, della ricerca di sponsor e supporter. "Jeff era disposto anche a quello. Ci finanziava e ci seguiva. Ma soffriva perché da Jeff Koons, grande artista era diventato il compagno di Cicciolina. All'epoca non c'era dubbio: l'immagine di Ilona era molto più forte della sua. E per di più, ormai cominciava a capirlo, Cicciolina era interamente opera mia". Su quel biondo vaporoso, sulla pelle lattea, sul rossetto sbaffato come fanno le bambine con i trucchi della mamma, insomma, su quella figura eterea che sposava peccato e innocenza, c'era il copyright di Schicchi. "È il mio lavoro. Cicciolina era mia, come mia era l'onda nei capelli di Moana e le sue scarpe rosse con i tacchi. Jeff aveva il culto delle icone, ma io le icone le ho costruite. Ed erano icone vive". Per questo, sempre a parer di Schicchi, si arrivò al matrimonio a Budapest. Performance grandiosa grazie alla quale Koons era convinto di riuscire ad appropriarsi finalmente dell'opera.

"Jeff ha creduto veramente a quel matrimonio. Ma mentre si vestiva da sposo, io e Ilona a sua insaputa, facevamo l'amore nella stanza della sposa. Fu una bella festa". A cui seguì una luna di miele in Grecia e una serie di performance decisamente hard fotografate ed esposte persino alla Biennale di Venezia. Poi la monumentalizzazione in forma di statua tridimensionale dell'amplesso Koons-Ilona. "Ma non gli bastava", dice Schicchi, "per appropriarsi di lei, Jeff doveva per forza distruggerla. E infatti le cambiò il colore dei capelli". Magari non fu solo il colore dei capelli. Ci fu anche la nascita di un figlio, un divorzio burrascoso. Lui che tenta di scappare con il bambino, lei che lo denuncia. Processi, tribunali, pagine e pagine di gossip. La vittoria femminista di una pornostar che riesce a rivendicare il suo diritto a essere madre e la crisi mistica di Koons che decide di distruggere ogni immagine del suo passato porno e di ricostruirsi una vita e una famiglia questa volta molto perbene e timorata di Dio. Insomma, un melò fantastico degno di un film strappalacrime alla Douglas Sirk.

Ma Schicchi insiste."Queste sono solo conseguenze di una vicenda più complessa. E anche più teorica. Lei sottovaluta il colore dei capelli. Koons l'ha fatta partorire con i capelli neri, perché voleva escludermi dalla loro storia e distruggere la mia opera". Niente Douglas Sirk, siamo in un racconto di Edgar Allan Poe. Sul filo di un horror due pigmalioni (a dir poco maschilisti) si contendono una donna che esiste solo nella loro testa. E nelle loro immagini, che si rincorrono e si sfidano ancora. Trascinandosi dietro mille domande: qual è la copia e quale l'originale? Chi è il vero artista tra i due? Cosa conta davvero: l'oggetto o il progetto? Ma soprattutto si sfidano a distanza raccontando dopo vent'anni tra una galleria di New York e una di Roma: "Made in Heaven" una storia degna di Hollywood. Con trailer che strilla: "Il porno e l'arte! L'amore e il tradimento! L'amicizia e il sesso! Ecco la vera vita di una pornostar contesa tra due uomini che ne volevano fare un'opera d'arte".

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