Il film di Tom Ford 'A single Man' è tratto dal meraviglioso romanzo di Isherwood 'Un uomo solo', ora ristampato da Adelphi. Perfetto esempio di equilibrio narrativo, melodramma, e algida eleganza. Da leggere e da rileggere
È nelle sale 'A Single Man', diretto da Tom Ford, con Julianne Moore e Colin Firth. Suscita contrastanti reazioni. Chi lo critica per eccesso di perfezionismo un po' anale, chi ne loda la compostezza. Tutti elogiano i due protagonisti. Mi limiterei a ricordare che il film è tratto da uno dei romanzi che più ho amato in vita mia: 'Un uomo solo' di Christopher Isherwood, ristampato ora da Adelphi nella traduzione di Dario Villa (pp. 148, e 16).
Pubblicandolo nel 1964, anche l'autore avvertì di avere scritto il proprio capolavoro - e aveva alle spalle una meraviglia come 'Addio a Berlino' (da cui 'Cabaret'). In effetti, si tratta di un testo il cui equilibrio narrativo è praticamente perfetto: perfettamente in bilico fra commozione e distacco - un racconto dove non c'è una virgola di troppo, non una di meno. Non farò il discorso secondo cui i romanzi sono sempre più belli e riusciti dei film da cui sono tratti. Direi solo che la compostezza formale della pellicola, che ha irritato qualcuno, ha nel romanzo una levitas e una necessità interna, che non la rendono stucchevole, restituendo anzi alla storia - fortemente melodrammatica - la concisa asciuttezza di un ideogramma, nel cui segno è iscritta l'algida eleganza ma anche la meravigliosa sciatteria che ogni esistenza porta con sé.
Non ho lo spazio per riassumere la trama. Potrei condensare così: una giornata di George, maturo professore inglese trapiantato a Los Angeles, che ha appena perduto Jim, il suo compagno più giovane. Il resto non cercate di immaginarlo. Leggete il libro. E benvenuti nel club: so che non potrete fare a meno di rileggerlo e rileggerlo.