Pur non di rado affrontando temi crudeli, Irène Némirovsky possedeva una grazia leggera. Sarà per questo che il lettore non può non amare i suoi libri. Incluso 'Due', dove la vita scorre perdutamente desiderabile, anche quando delude e amaraggia
Pur non di rado affrontando temi crudeli, se non addirittura spietati, i libri di Irène Némirovsky (morta ad Auschwitz nel 1942) posseggono la grazia leggera e soave di un pomeriggio primaverile. Sarà per questo che il lettore non può non amarli: perché in essi la vita vi trascorre perdutamente desiderabile, anche quando delude e amareggia come una promessa non mantenuta. 'Due' (Adelphi, traduzione di Laura Frausin Guarino, pp. 237, e 18,50) ne è un perfetto esempio.
Comincia come un racconto di formazione sentimentale: ai primi anni Venti del secolo scorso, in una Parigi ancora ubriaca e sfinita di felicità per la Grande Guerra appena conclusa, Marianne ama Antoine con i mille tremori tipici di una ragazza dell'epoca. Lui è ombroso e solitario. Forse non la ama neppure. Lei, che appartiene a una famiglia molto 'en artiste', non fa che struggersi e aspettarlo.
Ma poi i due si sposano e, fra qualche tradimento che mette a dura prova il loro ménage, finiscono col diventare una coppia borghese - bella casa, bambini e bambinaie, pranzi silenziosi e insipidi. Fino a un epilogo di accettazione assorta e discreta dell'immancabile infelicità che la vita dona agli amanti di ogni tempo. Quello che resta, di questo romanzo malinconico e innocente (che nelle prime pagine ricorda il meraviglioso 'Una questione privata' di Beppe Fenoglio), è la musica, il sound che accompagna e mette a fuoco la storia. È un ritmo ballabile di estrema ma non rarefatta eleganza. Un lento che trascina il cuore del lettore nella regione inquieta e ineludibile di ciò che non siamo, di ciò che non vogliamo.