Tumori grossi come palle da tennis, alterazioni delle pinne, gigantismo delle teste: il lago di Athabasca è diventato una pozza degli orrori. Colpa delle vicine sabbie bituminose da cui viene estratto il petrolio. Lo stesso procedimento che l'italiana Eni sta per utilizzare in Congo
Pesci rossi che dovrebbero essere bianchi, con tumori grossi come palle da tennis e deformazioni di ogni tipo sulle pinne, sullo scheletro e sul corpo. Lo 'spettacolo' allestito da un gruppo di scienziati, pescatori e cittadini per denunciare l'inquinamento della regione canadese del lago di Athabasca è degno di un circo degli orrori. Deformazioni e malattie della fauna del lago hanno con ogni probabilità un solo responsabile: lo sfruttamento delle vicine sabbie bituminose da cui viene estratto il petrolio. Una tecnica assai contestata dagli ambientalisti ma di sempre maggior successo, non solo in Canada.
La conferenza stampa allestita nell'Università dell'Alberta, la regione canadese con il lago di Athabasca, è solo l'ultimo passo di una lunga battaglia che si sta combattendo tra autorità e industria petrolifera da un lato e ambientalisti, pescatori e cittadini dall'altro. Secondo
i dati disponibili sul sito dello stato dell'Alberta, il business del petrolio delle sabbie bituminose rende tre miliardi di dollari l'anno in tasse incassate dal governo locale, oltre ad attrarre circa 20 miliardi di dollari l'anno di investimenti nel settore dell'energia. Per lo stato dell'Alberta il settore dell'energia vale il 28% del prodotto interno lordo, oltre 80 miliardi di dollari su 290 complessivi, e garantisce un lavoro a 145 mila persone. Un giro di affari destinato ad aumentare nel tempo, visto che si stima siano proprio le sabbie canadesi la seconda riserva petrolifera del mondo con i loro potenziali 171 miliardi di barili (il 13% delle riserve mondiali).
Forti delle prove mostrate al pubblico e alla stampa, gli abitanti di Fort MacKay e Fort Chipewyan, con alcuni rappresentanti politici locali, scienziati e pescatori, hanno indirizzato
una lettera al primo ministro canadese affinché attivi un serio programma di monitoraggio sulla salute dei pesci che possa chiarire ogni dubbio sull'origine delle malformazioni. Nella lettera indirizzata al primo ministro, vengono esplicitamente citati gli impianti di sfruttamento delle sabbie bituminose e il collegamento tra gli scarichi di questi impianti e l'aumento delle malformazioni nei pesci.
I metalli e i PAC (polycyclic aromatic compounds) presenti nelle acque colpirebbero infatti le uova deposte in primavera dalla fauna del lago, causando le malattie dei pesci mostrati dai ricercatori. Pesci che poi finiscono nelle tavole degli abitanti del luogo, visto che la pesca è un'attività molto praticata nel lago, anche a livello commerciale. Secondo le varie associazioni, lo sfruttamento delle sabbie bituminose ha provocato anche inquinamento dell'aria. La produzione di un barile di petrolio dal bitume provoca dalle tre alle cinque volte più emissioni di gas serra rispetto a un barile di greggio convenzionale.
Finora il governo canadese e anche quello locale hanno fermamente negato ogni possibile danno causato dall'inquinamento degli impianti di estrazione. Le rilevazioni fatte dal monitoraggio regionale (Ramp) vengono però contestate da altri scienziati che chiedono adesso uno studio indipendente, visto che il Ramp è compartecipato proprio dalle aziende petrolifere che estraggono nell'area.
Ma ciò che più preme alle varie
associazioni internazionali, anche alla luce delle conseguenze dell'estrazione nell'Alberta, riguarda il nuovo progetto sulle sabbie bituminose dell'Eni in Congo. In Canada, per favorire i lavori nelle miniere a cielo aperto sono state disboscate molte foreste. In Congo, secondo gli stessi tecnici dell'azienda italiana, dal 50% al 70% delle terre che saranno interessate dalle attività sono occupate da foreste tropicali o zone verdi. Potenzialmente l'area scelta (1800 chilometri quadrati nella regione del Tchikatanga) contiene dai 2,5 ai 3 miliardi di barili di bitume estraibili. Quasi venti volte l'Alberta. Il rischio è che si verifichino danni all'ecosistema locale nella stessa proporzione.
L'Eni ha assicurato che il suo intento è quello di «ridurre al minimo l'impatto sull'ambiente delle operazioni e studiare le tecniche migliori per conservarlo», confermando che, alla fine delle attività estrattive, tutta la zona sarà oggetto di riforestazione. Ma se, come successo in Canada, risultassero inquinati l'aria e l'acqua, le conseguenze potrebbero essere molto più dannose. Soprattutto perché, a differenza delle sterminate terre dell'Alberta, a 70 km dal Tchikatanga c'è la città portuale di Pointe Noire, la seconda più popolosa del Congo.