Democratizzare l'Islam e restare fedeli all'alleanza occidentale. Così Erdogan ha definito l'orientamento del suo Paese

La fine dell'anno è un periodo che si presta a riflettere. È altresì un periodo per guardare al nuovo anno come a un nuovo inizio. È per questo che gennaio prende nome da Giano, la divinità degli inizi e dei portoni. Si riflette sull'anno che se ne va nella speranza che quello seguente non ne sia soltanto una reiterazione, ma consenta di ripartire da capo.

Questo è il potere della fiamma eterna della speranza e della creazione che si rinnova. Quest'anno sono stati in molti a darci di che riflettere e la necessità di mantenere viva la speranza. Una parte del mondo considerata politicamente morta si è destata, animata da forti passioni e in alcune regioni anche con esemplare coraggio, per spezzare le catene della tirannia, della letargia, della disgregazione. Gli scontri continuano in Siria e potrebbero in qualsiasi momento riprendere in altre zone nelle quali sono stati soffocati.

A prescindere da come andranno a finire le rivolte arabe, il futuro della regione non sarà pieno di umiliazioni come il suo passato quasi centenario. La strada che questi paesi dovranno percorrere sarà difficoltosa, ardua e forse anche insanguinata. Del resto l'Europa sa e apprezza tutto ciò, avendo scoperto anch'essa quale sia il prezzo dei cambiamenti, delle rivoluzioni e delle ricostruzioni.

In questo nuovo mondo arabo c'è molta incertezza al momento. Ovunque si siano tenute le elezioni sono andati al potere gli islamisti che, tenuti a lungo a freno e presi a pretesto per appoggiare tiranni corrotti ma compiacenti, stanno finalmente conquistando il loro posto al sole. Ma la sfida che li aspetta è di enorme portata.

Gli islamisti hanno dimostrato di avere successo nell'organizzare le comunità, nel fornire i servizi sociali ai bisognosi, nel mobilitarli nel nome della loro fede, ma il loro compito adesso è di tutt'altra natura. Dovranno infatti amministrare risorse limitate per soddisfare le aspirazioni, i desideri, le ambizioni senza limiti di una popolazione giovane ma priva di qualifiche, in un mondo in cui efficienza tecnologica e competitività economica sono all'ordine del giorno. Nel fare ciò dovranno al contempo riuscire a trovare come riconciliare il loro orientamento ideologico e le realtà del mondo, come trovare il modo di mettere ordine al potere, pur cercando di riscrivere da capo le regole del gioco.

Questa tuttavia è ancora una volta una storia di speranza nei confronti dell'autoaffermazione, di aspirazione alla dignità, all'indipendenza e alla cittadinanza attiva e merita sicuramente un valido aiuto da parte dell'Occidente, soprattutto dall'Europa, la cui stessa storia è intrecciata così inestricabilmente con quella di questi neorivoluzionari.

È stata quasi una sottile ironia quella che si è venuta a creare quando coloro che in Occidente si sono decisi a protestare contro le assurde sperequazioni nella distribuzione della ricchezza, dei redditi e dei privilegi, hanno scelto di emulare, quanto meno nello spirito, le proteste di piazza Tahrir. Adesso quello spirito di rivolta si respira ovunque, e nell'Europa che invecchia spinge le generazioni una contro l'altra, come pure ampi settori delle popolazioni europee e i loro governi contro "i mercati".

L'anno che si conclude non è stato tra i migliori per l'Europa. L'Unione appare frammentata, incapace di generare una volontà politica comune che si occupi dei suoi stessi problemi e alla fine due paesi che ne fanno parte hanno dovuto convocare due governi tecnocratici ai quali affidarsi per correre ai ripari. Eppure l'ideale europeo, per quanto la sua forma attuale appaia depressa, fragile e vulnerabile, è tuttora valido e resta un modello meritevole per un mondo che ha necessità di trovare i suoi punti di riferimento.

Le incertezze e i timori dell'Unione hanno acuito le divergenze tra essa e una Turchia sempre più fiduciosa di sé (talvolta anche troppo) e determinata. Ciò è davvero incredibile se si tiene conto che la Turchia potrebbe rivolgersi a entrambi questi mondi. La trasformazione che ha vissuto sotto l'amministrazione di un partito dal pedigree islamista è stata piena di valide lezioni. L'Europa trarrebbe beneficio da un simile asset strategico.

Quando si parlava della Turchia come di un modello si sbagliò sin dall'inizio, eppure questa capacità di districarsi tra due mondi a modo suo si è rivelata preziosa. Il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, ha potuto così sbalordire il pubblico islamista che in Egitto lo ha ascoltato parlare della necessità di una costituzione laica in quel Paese, pur ribadendo il proprio rispetto per la fede.

Lo stesso primo ministro dovrebbe riappacificarsi con gli Stati Uniti, giacché il Paese si è adattato alle nuove realtà del mondo arabo e a un Iraq post-intervento americano. Egli potrebbe schierarsi apertamente al fianco di Tahrir in Egitto e della gente di Hama e Homs in Siria, e quindi riconfermare la posizione che la Turchia occupa nell'ambito dell'Alleanza Atlantica accettando di ospitare il sistema radar dello scudo missilistico della Nato per proteggersi dall'Iran.

Il 2011 è stato l'anno che ha definitivamente sepolto ogni congettura sull'orientamento strategico della Turchia. Sussiste tuttavia qualche preoccupazione in merito alla qualità della sua democrazia. Ma questa, tra la saga delle rivolte arabe che si protrae e il crescente distacco dalla Ue, è tutta un'altra storia. E la scopriremo l'anno prossimo.

traduzione di Anna Bissanti