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Cultura
dicembre, 2011

Lunga vita agli anni '70

Romanzi. Film. Libri d'inchiesta e convegni. Si torna a discutere di un periodo ancora controverso della nostra storia. Tra fughe dalla realtà e tentativi di stabilire una memoria consolidata

A volte ritornano. E mai come in questo periodo: con libri-inchiesta e romanzi, con film, serie tv e convegni, gli anni Settanta si ripresentano con forza alla ribalta. È una produzione corposa e appassionata, che cerca di aggiungere tasselli di verità a un decennio e oltre di storia italiana ancora troppo pieno di misteri, depistaggi e menzogne. Il decennio, come l'ha definito Luciano Violante, non del terrorismo ma "dei terrorismi" - di destra, di sinistra e di Stato: come sostengono gli storici, l'evento più drammatico che si è verificato in Italia dopo il fascismo. Proprio per contribuire alla riflessione su quegli anni un gruppo di storici e politologi dell'Istituto di Politica messo in piedi da Alessandro Campi, cinquantenne docente di Storia delle dottrine politiche a Perugia ed ex consigliere di Gianfranco Fini, ha organizzato a Roma il convegno "Per capire il terrorismo".

Spiega Campi: "C'è una pubblicistica sterminata sugli anni di piombo, che continua a crescere, ma non esiste una lettura collettiva, una memoria consolidata. Un libro di storia che racconti quegli anni non c'è. Esistono sottogeneri letterari come la memorialistica di chi ha esercitato la violenza, di chi l'ha subita, e di recente si è aperto anche il filone dei magistrati che in quegli anni lavorarono contro il terrorismo. Il problema è che, sommando tutti questi elementi, non si ottiene un racconto complessivo".

Cominciamo dalla narrativa. Sono sempre di più gli scrittori che scelgono come set dei loro romanzi quegli anni diventati plumbei e oscuri per antonomasia, cercando invece di sottolinearne l'enorme vitalità e ricchezza di stimoli. Dopo "La fortuna di perdere" (edizioni e/o), avvincente storia d'amicizia che si snoda tra Parigi, Ceylon e il Kerala del genovese Piero Elia, e "Sei bellissima" (Lantana) del toscano Marco Bigi, esilarante ritratto di un'Italia paesana stretta tra la parrocchia e la Casa del Popolo di Figline Valdarno intitolata a Enrico Berlinguer, entrambi notevoli esordi, eccone un altro interessante: quello del giornalista Enrico Deaglio con "Zita" (Il Saggiatore), storia di un ex terrorista il cui passato torna a bussare alla porta, all'improvviso. E schegge di fantasmi del passato che irrompono in esistenze tornate alla normalità sono anche il nucleo centrale di "Distanza di fuga" (Sironi) di Silvia Bonucci, storia della fisioterapista Zoe prigioniera dell'antica Catastrofe, e di "L'odore acido di quei giorni" (Laurana) di Paolo Grugni, thriller ambientato nel marzo bolognese del 1977.

Secondo il convegno una caratteristica di questi romanzi è che spesso si tacciono i fatti di sangue, "con una reticenza emotiva e sentimentale che rischia di diventare rimozione", fa notare Campi: "La sensazione è che si cerchi di nascondere il punto essenziale: il mostruoso sacrificio di vite umane che fu pagato". Andiamo a vedere i libri-inchiesta allora, che i conti li fanno, eccome. Sono appena usciti "Il Noto servizio. Giulio Andreotti e il caso Moro" (Marco Tropea editore), in cui lo storico Aldo Giannuli ricostruisce l'attività della struttura segreta Anello che operò fino agli anni '80, e "Chi manovrava le Brigate Rosse? Storia e misteri dell'Hyperion di Parigi, scuola di lingue e centrale del terrorismo" (Ponte alle Grazie), scritto da Rosario Priore, magistrato fin dai primissimi anni '70 e dal giornalista Silvano De Prospo.

Ma il più choccante è "Colpo al cuore, dai pentiti ai metodi speciali: come lo Stato uccise le Br" (Sperling & Kupfer) di Nicola Rao, direttore del Tg3 Lazio e già autore di libri-inchiesta sul terrorismo di destra. Qui Rao per la prima volta intervista il brigatista Antonio Savasta e anche Rino Genova, il capo della Digos che nel 1982 lo catturò nel blitz di via Pindemonte, a Padova, scattato per liberare il generale americano James Lee Dozier, rapito dalle Br un mese prima. Ed è proprio Rino Genova a raccontare di una struttura interna all'Ucigos, l'antiterrorismo di allora, specializzata in torture come "l'algerina", sorta di soffocamento con acqua salata, guidata da un funzionario della Mobile di Napoli soprannominato "professor De Tormentis". Un signore che, scrive Rao, "dopo esser stato nominato questore, abbandonò la polizia e oggi fa l'avvocato".

Nicola Rao ha anche collaborato con Andrea Colombo, Luca Telese e Francesco Patierno alla realizzazione di "Giusva, la vera storia di Valerio Fioravanti", libro più dvd appena usciti sull'ex terrorista dei Nar condannato con Francesca Mambro per la strage di Bologna. Un lavoro affascinante che dà una chiave inedita sul rapporto tra i due fratelli Fioravanti: tutto è cominciato dalla coppia Cristiano Fioravanti, più piccolo di Giusva, e Alessandro Alibrandi, minorenni iscritti al Msi e già con le pistole in mano negli scontri di piazza. È per controllare le gesta del fratello che Valerio, vincitore di una borsa di studio per gli Usa e spesso all'estero, viene tirato dal padre dentro la lotta armata.

Commenta Patierno, regista del dvd: "Penso che ci sia ancora il filtro dell'ideologia in molti di quelli che raccontano gli anni '70, segno che qualcosa non è stato eleborato. All'epoca ero piccolo, a Napoli c'era un attentato al giorno e i miei genitori avevano paura di tutto. Ma oggi c'è lo spazio per parlare senza pregiudizi, anche per far capire ai più giovani: a me piace riscoprire storie ignorate previlegiando il lato umano ed emotivo, quasi psicanalitico. Quella di Giusva, che a nove anni è il bambino più famoso d'Italia, protagonista della serie tv "La famiglia Benvenuti", e che a 19 diventa il terrorista più ricercato del Paese dopo aver tradito il padre che lo voleva attore, è una vera tragedia greca".

Anche il piccolo e grande schermo, dunque, sempre di più scelgono di misurarsi con il clima di quegli anni. Se è vero, come sostiene Francesca D'Aloya - anche lei si è ispirata alla storia dei Fioravanti per una bella sceneggiatura ancora irrealizzata - che molti film girati finora sul terrorismo sono "ombelico-centrici e troppo lenti, i giovani sono lontani anni luce da quel periodo e se glielo racconti con lo stile dell'epoca scappano", adesso si cambia. Uscirà a gennaio "Romanzo di una strage" di Marco Tullio Giordana, prodotto da Cattleya e RaiCinema, un "political thriller" sulla bomba che esplose a Milano il 12 dicembre 1969 (17 morti, 80 feriti), studiato per dieci anni e di grande effetto. Commenta Riccardo Tozzi, patron di Cattleya: "Il nostro strano Paese è quello in cui di più si indaga nelle pieghe di tutto quello che accade, abbiamo un giornalismo d'inchiesta di prim'ordine, straordinari poliziotti e inquirenti. Ma questo patrimonio non si concretizza in qualcosa da condividere, ossia la conoscenza dei fatti. E l'Italia resta il Paese dei mille misteri".

Tozzi ha intenzione di realizzare una trilogia che prosegue con un film sulle Brigate Rosse e uno sul sequestro Moro. Secondo lui c'è un motivo che impedisce l'emergere della verità: "È lo spirito di guerra civile, di contrapposizione non tanto politica quanto antropologica, che dura nella nostra storia. L' hanno descritta nel 2005 Giovanni Pellegrino e Mario Fasanella in "La guerra civile da Salò a Berlusconi": una guerra mai finita, rimasta sempre a bassa intensità". Campi fa ancora un passo in più. Rilancia la palla agli storici e prova a ristabilire responsabilità parallele: "Il paradosso è che se nel 1965, a 20 anni dalla caduta del fascismo, c'è stato un Renzo De Felice in grado di ricostruire con relativo distacco quell'evento oggi, 35 anni dopo i '70, gli storici ancora non riescono a farlo. Perché sono parte di una generazione che si è formata culturalmente in quel periodo, che in molti casi ha avuto una militanza politica attiva e si sente ancora troppo coinvolta", spiega. "Da parte sua lo Stato, che ha avuto nei '70 la pagina nera dello stragismo, con pezzi dei suoi apparati che hanno lavorato fuori dalla legalità, contro lo Stato stesso, certo non ha contribuito a fare chiarezza. Questo deficit di conoscenza dei fatti è diventato un canone storiografico sedimentato, per cui da Portella della Ginestra a Piazza Fontana, dal treno Italicus all'aereo abbattuto a Ustica, la storia repubblicana è un gigantesco buco nero".

Invece proprio la politica, una volta che il terrorismo è stato sconfitto e lo Stato ha vinto, avrebbe dovuto fare un'operazione di verità, conclude il professore. Così non è stato, "perché la Lega si sente anti-italiana, Berlusconi non conosce la storia e ha detto che vuole fare la condoglianze al padre dei fratelli Cervi, da destra e sinistra non vengono riflessioni e autocritiche sulle ragioni della passata violenza". E allora ci pensa la società civile a portare pezzi di verità. Al Festival del Cinema di Roma è stato molto ben accolto "La via di mio padre", docufilm di Luigi Maria Perotti che ha fatto parlare Roberta Peci, nipote di Patrizio che con le sue rivelazioni fece arrestare decine di brigatisti, a cui le Br uccisero per ritorsione il fratello Roberto. E sono arrivate sugli schermi anche due commedie. Si tratta di "La kryptonite nella borsa", esordio nel cinema dello scrittore Ivan Cotroneo, e "I primi della lista" di Roan Johnson. Un film divertente e tenero sulla storia vera di tre pisani di Lotta Continua che il primo giugno 1970 scapparono in Austria, temendo un golpe militare.

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