L'ultimo lancio è previsto per il 29 aprile. Poi basta. E il sogno di un aereo spaziale è finito: costi troppo alti, sicurezza non garantita. E adesso si torna ai razzi "a perdere"

Il glorioso, ma molto discusso, programma Shuttle Transportation System (Sts) sta finendo. Tra pochi giorni dovrebbe partire Sts 134, l'ultimo volo della navetta Endeavour e l'ultimo con astronauti europei. A bordo, infatti, ci sarà Roberto Vittori, dell'Esa (Agenzia spaziale europea). Andrà a raggiungere Paolo Nespoli, anche lui veterano italiano dell'Esa, in orbita da mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Sullo Shuttle ci sarà anche un ambizioso strumento per la stazione spaziale, l'Alpha Magnetic Spectrometer del fisico Usa Sam Ting, premio Nobel. Ting e i suoi (insieme a molti ricercatori italiani) vogliono capire di che cosa sia davvero fatto l'Universo, per esempio quale sia il suo contenuto di antimateria, e anche comprendere qualcosa sulla materia oscura. Speriamo. Sono sicuro che, con un po' di fortuna, impareremo molto: con orgoglio ricordo quando, all'ASI, feci diventare l'Alpha Magnetic Spectrometer una realtà anche italiana. Per l'imminente dopo-Shuttle, invece, è in corso in questi giorni un globale ripensamento programmatico-politico.

Il programma Shuttle è durato trent'anni. Il primo volo, Columbia, partì il 12 aprile 1981, esattamente 20 anni dopo lo storico volo di Yuri Gagarin. Fortemente voluto dall'amministrazione Nixon, il programma nacque in un contesto politico difficilissimo per lo spazio Usa, dopo una interruzione di ben sei anni all'accesso di astronauti americani allo spazio. Il trionfo del progetto Apollo era infatti finito un po' miseramente nel 1972, affogato nel dramma del Vietnam e perfino abbandonato dal pubblico. Spietatamente interessati solo alla "prima" di Niel Armstrong del 1969, i telespettatori mostravano segni di noia. Seguirono un paio di programmi post-Apollo, con voli umani fino al 1975. Poi, più nessun americano in orbita.

Nixon impose alla Nasa di inventare uno strumento nuovo: basta razzi "a perdere", come il formidabile Saturno di Von Braun, che pure ci aveva dato la Luna. Nixon voleva il sogno di ogni ingegnere aerospaziale: un aeroplano capace di decollare da terra, andare nello spazio, riatterrare ed essere subito pronto per un altro volo. E voleva che ogni volo costasse poco, in modo da poterci andare spesso. Insomma, qualcosa che potesse fare avanti e indietro dalla spazio come la navetta di un telaio, lo Shuttle, appunto. Il nome rimase.

Purtroppo, il sogno dell'aeroplano spaziale a basso costo si rivelò irrealizzabile. La Nasa ne fece la migliore approssimazione possibile, specie con la tecnologia anni Settanta. Non era proprio un aeroplano: la massa alla partenza era molto maggiore di quella all'arrivo, per via di serbatoi e motori in più, necessari alla partenza e poi solo in parte riutilizzabili. E fu subito chiaro che il sogno di un volo alla settimana era, appunto, un sogno.

Ci vollero sei anni per arrivare al primo count down: sei anni senza che un americano volasse nello spazio. Mentre i sovietici invece, ci andavano senza difficoltà, addirittura costruendo una stazione spaziale abitata permanentemente, la Saliut ("saluto"), operativa in quattro modelli successivi. Una volta partito il primo Shuttle, dunque, si pose immediatamente l'obiettivo di costruire la Stazione Spaziale Freedom, destinata a seppellire sotto la supremazia tecnologica Usa i sovietici. Con un succedersi di colpi riusciti e fallimenti da una parte e dall'altra prese il via una nuova fase della guerra fredda nello spazio.

I russi tentarono di copiare lo Shuttle con il Buran ("tormenta") e fallirono clamorosamente. Ma anche alla Nasa le cose non andavano bene: lo Shuttle non teneva neanche lontanamente il ritmo previsto, per non parlare dei costi. Il progetto di fare davvero la Freedom segnava il passo, mentre i sovietici, intanto, avevano la nuova, bellissima Mir ("pace" e "mondo"), ormai operativa. Poi, di colpo, nel 1986, la prima tragedia: l'esplosione del Challenger e l'inevitabile pausa del programma.

Nel 1989, con Gorbaciov e la caduta del muro di Berlino, finalmente, il mondo cambia. I piani per una Freedom solo americana vengono abbandonati a favore di una collaborazione con i russi. E Al Gore e Chernomyrdin, nel 1993, firmano l'accordo per fare insieme una Stazione Spaziale Internazionale. Da allora ad oggi, per completare la Stazione ci sono voluti 35 voli dello Shuttle (con l'altra, terribile tragedia del Columbia, esploso nel 2003), 26 voli di Soyuz (solo persone), 43 di Progress (solo cargo), più due voli ciascuno dei cargo europei e giapponesi.

Un successo il programma Shuttle? No, un mix di luci e ombre. Innanzitutto, due missioni perse, con il loro carico di 14 vite umane; neanche in guerra gli Usa tollerano, oggi, perdite maggiori dell'1 per cento. Poi la frequenza: una media di quattro voli all'anno è dieci volte inferiore alle promesse iniziali. E il costo: con una media di 1,5 miliardi di dollari a volo per un totale di quasi 200 miliardi per l'intero programma, è circa dieci volte maggiore del previsto. Ma ci sono stati anche brillanti risultati: lo Hubble Space Telescope e altri grandi missioni scientifiche messe in orbita, oltre al contributo determinante dato dallo Shuttle al montaggio della Stazione spaziale.

Al di là dei bilanci, comunque, era inevitabile che il programma venisse chiuso: la tecnologia anni Settanta dello Shuttle, di diretta derivazione da Apollo, è oggi pericolosamente obsoleta. E nel prossimo futuro è certo che vedremo ripetersi un break dei viaggi americani nello spazio, come è accaduto nel periodo 1975-1981. Con la differenza che, stavolta, i russi sono amici e porteranno astronauti Usa nella Stazione spaziale con la vecchia, scomoda ma affidabile Soyuz. Perché, comunque, c'è la necessità di andarci spesso, se vogliamo farci qualcosa dopo averla costruita.

Quanto ci vorrà per un nuovo accesso Usa allo spazio? E come sarà? Per ora, la confusione è totale: Obama avrebbe voluto cancellare il programma di ritorno di astronauti fuori dell'orbita terrestre (dove nessuno è più andato dal 1972), a favore di un semplice coinvolgimento di privati per l'accesso alla Stazione. Ma il Congresso non ci sta: vuole i ricchi contratti Nasa per le ditte interessate a fare l'Orion Multipurpose Crew Vehicle e lo Heavy-Lift Space Launch System. E lo dice esplicitamente nell'approvare il bilancio dell'ente spaziale, che l'obiettivo è quello di tornare, comunque, al di fuori dell'orbita terrestre.

Nessuno sa ancora come andrà a finire. Certo, l'era dello Shuttle non si ripeterà, si tornerà a lanciatori tradizionali, a perdere. E, altrettanto certo, passeranno anni prima di riportare americani nello spazio partendo da suolo Usa. Non sarà un problema, soprattutto se anche noi europei non staremo semplicemente a guardare e ci rimboccheremo le maniche, come continuano a fare i russi e come adesso fanno i cinesi e, tra poco, faranno gli indiani. L'importante è che alla fine un terrestre vada al di là della Luna.

Giovanni Bignami è presidente del Cospar, Comitato mondiale per la ricerca spaziale e professore di Astronomia alla Iuss di Pavia

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