Deforestazione. Piantagioni di palme. Saccheggio di legname. Scavi per miniere. Così rischia di morire uno dei patrimoni più preziosi per la biodiversità del pianeta. Dove il Wwf ha scoperto più di mille specie ignote di animali e vegetali

l grido di "Paolo Rossi! Paolo Rossi!" lanciato nel 1982 - anno della vittoria dell'Italia al Campionato del mondo di calcio - dagli aborigeni col diadema di penne e un osso tra le narici verso la canoa del Wwf Italia che risaliva il fiume Sepik in Nuova Guinea, non deve trarre in inganno circa l'adesione di questa fetta di Terra al villaggio globale e alla modernità. Ancor oggi, nonostante le continue striscianti aggressioni di ogni tipo di cui parleremo, la più grande isola coperta di foresta tropicale è un mondo a parte che conserva il maggior tesoro mondiale di biodiversità. Questo territorio di 570 mila chilometri quadrati, quasi due volte l'Italia - suddiviso tra Irian Jaya (Indonesia) e Papua Nuova Guinea - è un vero paradiso della wilderness tropicale. Pur rappresentando solo lo 0,5 per cento delle terre emerse, conserva infatti fino all'8 per cento delle specie animali e vegetali finora note alla scienza. Basta inoltrarsi lungo i fiumi o nelle valli invase dalla vegetazione più densa e lussureggiante per rendersene conto. Le canoe, scavate in un tronco d'albero (dove potenti motori fuoribordo sostituiscono le tradizionali pagaie) hanno la prua a forma di coccodrillo. Il Sepik che dà il nome a questo grande corso d'acqua, è appunto il coccodrillo, rettile amato come una divinità dalle tribù che popolano il suo bacino, vasto 77 mila chilometri quadrati (la superficie dell'Irlanda) disteso sul versante settentrionale a valle della grande Catena Centrale.

È qui, alle falde dei Monti Torricelli, che si stende, sopra i mille metri, una stupenda foresta pluviale, regno di canguri arboricoli anche molto rari e di 38 specie (sulle 41 viventi solo in Nuova Guinea e nel nord del Queensland) di uccelli del paradiso dai piumaggi di una bellezza incredibile. Se ammirarli in natura non è difficile con un buon binocolo e una guida esperta, è molto più facile (e anche piuttosto triste) vederne le spoglie usate come ornamento -assieme alle code dei canguri arboricoli - dai nativi nei villaggi. Villaggi dove non è raro intravedere, alla base di una capanna, un teschio umano, ricordo di un passato non tanto lontano in cui le pratiche dell'antropofagia erano diffuse.

Penetrando nell'ombra delle cattedrali arboree, soprattutto nella parte orientale dell'isola, può capitare di veder volare, tra le tante farfalle bellissime, anche la famosa Ornithoptera Alexandrae, dedicata alla regina Alessandra, moglie di Edoardo VII d'Inghilterra, considerata, per la sua apertura alare di 31 centimetri, la più grande del mondo. Mentre è molto più difficile poter osservare il pappagallo più piccolo del pianeta, il Micropsitta pusio, grande come uno scricciolo, che vive nelle foreste umide di pianura. Le sue minime dimensioni e i colori non esaltanti (verdi con la fronte beige) lo rendono quasi invisibile anche ai birdwatchers più appassionati.

Naturalmente, come sa chi ha consuetudine con le cattedrali arboree delle giungle tropicali, la visione degli animali non è frequente come nelle savane africane o nelle grandi paludi di tutto il mondo. È invece più agevole, sempre seguendo guide locali, addentrarsi nel pianeta colorato e sofisticato delle orchidee, qui particolarmente abbondanti. Tra queste una specie endemica del genere Grammatophyllum che per grandezza e vistosità detiene il record su tutte le altre orchidee mondiali.

Ma la ricchezza favolosa di questo territorio è ancora per buona parte da scoprire. Anche perché i suoi ambienti naturali vanno dalle selve litoranee di mangrovie alle savane e praterie della costa meridionale; dalle vette nevose che sfiorano i 5 mila metri della Catena Centrale, alle spiagge solitarie ove nidificano le immense tartarughe liuto; e infine da fiumi - con gigantesche cascate come quella di Wasi nella regione del Kikori - a barriere coralline che nulla hanno da invidiare alla Great Barrier Reef australiana che inizia pochi chilometri più a sud.

È per questo che, dal 1998 a oggi, un folto team di ricercatori coordinati e sostenuti dal Wwf ha lavorato in tutta l'isola maggiore e in quelle che si disseminano al suo intorno, per elaborare un catalogo di specie vegetali e animali del tutto ignote: studio che poche settimane fa è stato reso noto al pubblico e alla scienza. L'immane lavoro, condotto nei luoghi più impervi e impenetrabili della Nuova Guinea, ha prodotto un materiale di straordinario interesse. In poco più di dieci anni, botanici, zoologi, ecologi sotto il simbolo del Panda, hanno scoperto ben 1.060 nuove specie. Un risultato eccezionale se si pensa che su tutto il Pianeta le specie finora note sono circa 1,7 milioni (anche se i tassonomisti calcolano che ce ne possano essere ancora tra i 3 e i 30 milioni).

Il cast delle new entry è stato pubblicato con magnifiche foto nel rapporto Final Frontier del Wwf Western Melanesia Programme Office in questo anno che è tra l'altro quello dedicato dalle Nazioni Unite alle Foreste. Vi sono, tra l'altro: 218 vegetali sconosciuti, con oltre 100 nuove specie di orchidee; 134 anfibi con rane e rospi di ogni forma, colore e dimensione; 43 rettili, tra cui il meraviglioso varano a macchie azzurre che spicca sulla copertina del rapporto, 2 uccelli, 71 pesci (in particolare da segnalare uno squalo che vive nei grandi fiumi che solcano l'isola) e ben 12 mammiferi, compresa una specie unica di delfino d'acqua dolce dal tenero colore rosato. Il tutto senza contare gli invertebrati, come farfalle sontuose, coleotteri bellissimi, lumache dorate e altri per un totale di 580 specie nuove per la scienza.

Ma questo luogo, che l'ornitologo Bruce Beehler, capo di una spedizione sui Monti Foja nel nord ovest dell'isola, ha definito "il luogo più vicino al Giardino dell'Eden che si può trovare sulla Terra", subisce le crescenti aggressioni da parte dell'uomo. Come denuncia Eric Verheij, Direttore della conservazione del Wwf Western Melanesia, ce n'è per tutti i gusti: deforestazioni e dissodamenti per creare piantagioni di palme che producono l'olio onnipresente nei nostri prodotti alimentari e cosmetici oltre che per carburanti (una di queste devastazioni è visibile sulla Baia di Kimbe nell'Isola di Nuova Britannia); oppure il saccheggio del legname pregiato (come l'ebano, il mogano, il sandalo o il cedro) per il mercato dell'arredamento o per molti altri usi industriali. La Cina, Paese povero di foreste, importa da qui quasi l'82 per cento del legname, che tradotto in numeri assoluti significa più di 2 milioni di metri cubi l'anno. E il 70 per cento è ottenuto grazie all'abbattimento illegale di alberi. Secondo gli esperti del Wwf, nel 24 per cento delle foreste di Papua Nuova Guinea sono già visibili i segni degli interventi forestali e disboscamenti che avanzano a pieno ritmo, oltretutto erodendo l'ambiente di vita d'innumerevoli etnie locali, depositarie di una ricchissima cultura che comprende oltre mille lingue e dialetti diversi. E avanzano anche le prospezioni minerarie (soprattutto per oro e rame) che contribuiscono all'inquinamento dei corsi d'acqua, così come i sedimenti terrosi che colano per l'erosione dalle pendici denudate attentano alla sopravvivenza delle madrepore e dei coralli. Infine, il diffuso bracconaggio e il traffico illegale di specie rare per il collezionismo, fanno ben poco sperare per la sopravvivenza della mirabile diversità di quest'ultima frontiera naturalistica del Pianeta.

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