I maggiori esperti mondiali al World Oncology Forum per confrontarsi su nuove scoperte, terapie e possibilità di sopravvivenza
Alberto Costa è direttore scientifico della Scuola Europea di Oncologia. Ecco come presenta il World Oncology Forum, che riunisce un gruppo selezionato di ricercatori e clinici dai cinque continenti e che arriverà a una dichiarazione finale per dare indicazioni e priorità sulla strategia da adottare per migliorare la situazione oncologica globale entro i prossimi dieci anniI cento maggiori esperti mondiali nella lotta al cancro. Li abbiamo riuniti a Lugano, nel
World Oncology Forum (26-27 ottobre), per rispondere alla domanda più difficile: "Stiamo vincendo la guerra contro il cancro?". Non è un quesito cui si può rispondere mettendo insieme tante lezioni superspecialistiche di personalità indiscusse e inattaccabili, che rendano conto dell’enorme mole di studi clinici e delle grandi innovazioni apportate nelle terapie per ogni diverso tipo di tumore. Perché la lotta al cancro è molto di più di un insieme di battaglie, perse o vinte. È un grande sforzo collettivo che impegna la società e, su suo mandato, la comunità scientifica. Ecco allora perché abbiamo chiesto a 100 superesperti di sedersi attorno a un tavolo e cercare di rispondere a una serie di punti interrogativi che interessano trasversalmente la lotta al cancro. Lo faranno liberamente, perché il Forum non ha sponsor di mercato, ma un unico promotore istituzionale privato (la European School of Oncology) affinché le opinioni espresse siano indipendenti da condizionamenti e pressioni.
Il primo degli interrogativi nasce dal fatto che, a più di dieci anni dalla decodifica del genoma, che aveva generato forti aspettative sulla conoscenza dei meccanismi di formazione del cancro, di fatto ancora non ne capiamo le cause. L’analisi dei geni ci ha spiegato i dati epidemiologici- ad esempio abbiamo capito perché se mangiamo troppi grassi ci ammaliamo di più di cancro al colon , come ci dicevano i confronti di dati di incidenza fra popolazioni con abitudini alimentari diverse - ma speravamo aprisse la strada anche alla identificazione di nuove cause. Cinquanta anni fa abbiamo dimostrato il legame causa-effetto tra fumo e tumore polmonare, ma è stata sostanzialmente l’unica scoperta per i big killer, i tumori a maggiore diffusione e aggressività (polmone, seno, colon, prostata) che da soli sono responsabili della maggioranza delle morti per tumore nel mondo.
Ma non è tutto. Dobbiamo poi chiederci perché, anche quando conosciamo la causa, non riusciamo ad intervenire efficacemente per eliminarla. In decenni di campagne antitabacco non siamo riusciti a convincere le persone a smettere di fumare. È vero che esiste negli Stati Uniti e in Europa un nuovo trend all’abbandono della sigaretta, ma di fatto i fumatori nel mondo continuano ad aumentare, l’età della prima sigaretta si abbassa e, se ci concentriamo sulla fotografia attuale, soltanto in Italia, poco meno di 100 persone al giorno muoiono per tumore del polmone.
Un discorso analogo si può fare per il tumore del seno. Sappiamo che avere tanti figli in giovane età (intorno ai 20 anni o prima) e allattarli al seno è un forte fattore protettivo da questo tumore, ma riusciremmo a ribaltare il modello di vita delle nostre società e tornare a un’organizzazione sociale in cui le ragazze hanno il primo figlio a 15 anni? E, soprattutto, davvero vorremmo farlo? Io francamente penso di no: ho una figlia adolescente e non vorrei che lei tornasse a casa incinta per prevenire così una potenziale malattia. Vorrei, invece, che lei studiasse, vivesse liberamente la sua vita e, se lo desidera, trovasse la persona giusta con la quale mettere al mondo dei bambini. Noi vogliamo questo per le nostre figlie e la società tutta, maschi e femmine, deve impegnarsi a combattere il tumore del seno senza pregiudicare la libertà delle donne.
Grande entusiasmo ha sollevato anche la scoperta delle origini virali di alcuni tipi di cancro, in particolare il virus Hpv, quale causa dei tumori del collo dell’utero. È innegabile che il vaccino contro l’Hpv sia una conquista scientifica, ma dobbiamo riconoscere che non siamo in grado di applicarla laddove ce ne sarebbe maggiore bisogno: nei Paesi, come quelli africani, dove il tumore del collo dell’utero è una piaga.
Infine, dobbiamo chiederci perché la conoscenza del Dna non ha aumentato significativamente il numero di farmaci efficaci. La pillola anticancro o, nel linguaggio di noi oncologi, i farmaci intelligenti, sono stati il grande sogno del 2000. Di fatto, tuttavia, i nuovi farmaci molecolari sono pochi (non più di 20) e applicabili a tumori meno diffusi, come il Glivec per la leucemia. Ma contro i big killer, a parte l’Herceptin per il tumore del seno, siamo ancora in attesa di grandi novità. Il Dna ha portato certamente un aumento di conoscenza, ma non ancora un’analoga riduzione di mortalità. Oltre a ciò ci viene spesso ricordato - non a torto - che i pochi punti percentuali che oggi guadagniamo in sopravvivenza, comportano un aumento dei costi delle terapie da 300 fino a 800 volte superiore.
Lo statement finale del forum di Lugano dovrà dunque dare una risposta che sia anche una soluzione, e per questo è una scommessa altissima sulle capacità delle nostre menti di individuare una strategia contro il male del secolo, che non può più essere confinata alla ricerca, ma dovrà necessariamente essere strategia sociale, economica e politica. Potrebbe anche succedere che a Lugano nulla succeda , ma in ogni caso il World Oncology Forum segnerà un cambio di marcia nella lotta al cancro e un cambio di registro nella comunicazione dei suoi risultati.