Chi crede che la televisione attuale renda ormai molto variegata e divisa in nicchie d'offerta, non ha idea di cosa ci sia nel web, vero paradiso dei canali tematici. On line si trova il palinsesto dedicato ai genitori, agli action sport, all'orientamento professionale, agli ingegneri fiorentini. Ma anche la televisione per cani e gatti e quella del ristorante, fino alle molte di inchiesta e denuncia locale.
Centinaia di realtà che proliferano di giorno in giorno.
Nonostante la crisi, il mercato dell'internet tv crescerà a un tasso medio annuo superiore al 50 per cento (rapporto IT Media Consulting) arrivando a valere quasi due miliardi di euro nel 2015. Ottimismo anche nel rapporto Netizen 2012, realizzato per "Punto it", il meeting nazionale delle web tv e dei media digitali locali, che si tiene fino al 20 aprile a Bologna: «Le 'antenne' calcolate a fine marzo sono 642», dice Giampaolo Colletti, fondatore di Altratv.tv: «Si stima un fatturato di 10 milioni di euro all'anno tra addetti ai lavori e fornitori».
A premiare sono sempre meno le news 'secche' e sempre di più l'approfondimento: i servizi giornalistici e tg secondo Netizen sono solo del 10 per cento dell'offerta messa in campo dalle web tv italiane, a dispetto delle interviste (25 per cento) e rubriche di vario tipo (16 per cento). In crescita i canali verticali, che sono il 36 per cento del totale (26 per cento nel 2010): «Le 'nicchie' stanno dando maggiori soddisfazioni a livello economico».
Cos'è una web tv?
Ma che cos'è oggi una web tv? Un'emittente on line? I contenuti video di un broadcaster messi sul sito? Un qualunque sito con contenuti video? «Web tv è un termine che non mi piace», risponde Gregorio Paolini di Hangar Tv, autore e produttore: «Mi viene subito da chiedere: cosa vuoi fare da grande? Se poi ha la pretesa di indicare qualcosa che sta in Rete, non tiene conto che tra poco avremo molti meno computer e molti più tablet e smartphone per fruire quel genere di contenuti».
Quella di 'web tv' è dunque un'etichetta che rischia di scadere rispetto alla velocità con cui si muove la tecnologia: «In un'epoca in cui i device sono moltissimi», aggiunge Fabrizio Ulisse, project manager per le tv online di Youdem, Festival del Giornalismo, e Confindustria Digitale, «meglio il concetto di 'net tv', più ampio. Il problema è che se per siti e blog abbiamo trovato una definizione, quella di web tv non è mai stata realmente codificata».
Così come difficile è capire quando uno di questi canali è un 'successo': ad esempio, una web tv condominiale, anche se non guadagna un euro in più di quello che spende, costituisce un caso straordinario se è seguita e sostenuta da tutti i condomini. Come di successo può parlare, per altro verso, per StreamIt, che ha 10 milioni di utenti unici al mese e duecento canali: «Abbiamo cominciato a sviluppare StreamIt nel 2005, nello stesso anno in cui qualcuno progettava Youtube», racconta Francesco Bevivino, direttore responsabile, «con la differenza che quest'ultimo è un archivio, la nostra una vera tv di flusso". Canali verticali, player 'embeddato' su molte piattaforme famose, contenuti che vanno dallo sport alla cultura americana, passando per Zelig e il Roxy Bar di Red Ronnie (a proposito: per chi si chiedeva che fine avesse fatto la rassegna stampa di Fiorello dopo la sua dipartita da Twitter, è sulla pagina Fb di Red Ronnie, appunto); il progetto di un telegiornale innovativo in arrivo e investitori pesanti a livello pubblicitario.
Investitori, soldi: per quanto il concetto di successo sia variabile, quello di sostenibilità è invece necessario per la sopravvivenza.
L'insostenibile economia dell'essere
Una web tv deve avere un piano editoriale di business: «Persino i blogger ormai sanno che si deve pianificare, non improvvisare», precisa Colletti.
Peccato però che la maggior parte delle web tv italiane, eccezion fatta per le quelle legate alla PA o alla promozione aziendale, quel piano di business non ce l'abbiano.? «Quando si intende proporre un proprio modello occorre realizzare un piano editoriale. Se è ragionevolmente prevedibile il raggiungimento di un breakeven, si può partire. L'esempio più recente da noi è 'Misteri d'Italia', il canale realizzato da Mediaway e diretto da Sandro Provisionato», spiega Antonio Pavolini, Senior Analyst per Telecom Italia, che ha scritto di questi temi nel il libro "ConnectingTelevision" (Guerini). «Ma i casi più virtuosi vengono dagli Usa, dove interi bouquet di canali partono dal web per entrare a far parte dell'offerta televisiva tradizionale senza che i canali maggiori reagiscano con le classiche 'levate di scudi' tipiche del nostro paese, dove il riflesso condizionato è la paura di essere cannibalizzati».?
Già, le levate di scudi. C'è chi si trincera dietro a muri e chi invece si apre: «Bisogna capire che il prodotto televisivo è software e non hardware», spiega Roberta Enni, vicedirettore Innovazione Prodotto Rai: «Quindi deve far proprio il concetto di partecipazione e condivisione». Per Rai5, frutto del suo lavoro, l'apertura verso gli altri editori («e per editore s'intende anche uno Youtuber di talento») è la parola chiave e in questa direzione: «Le web tv sono i nostri nuovi occhi».
Una mano dal governo, una dalle idee
Finito Berlusconi,(e con lui Paolo Romani) ora tutti ripongano molte aspettative nell'attenzione alla Rete arrivata dal governo. Semplificazione della burocrazia da un lato, meno tassazione a chi innova dall'altro, e il resto lo faranno le idee, la sempre maggiore integrazione con i social network e la convergenza con il mobile. Dice Gaetano Peligra di Mixel, società che ha ricevuto il premio Nokia come migliori sviluppatori del 2011: «Non possiamo più permetterci di aspettare. Se dal punto di vista economico riuscissimo a cavalcare l'onda di queste nuove tecnologie, si creerebbero nuovi posti di lavoro. E poi la nuova generazione è estremamente legata al telefonino».
Il futuro dunque è nello scollamento dal pc e nel dialogo con la Rete. «Le web tv si sono staccate dalle piattaforme; ora vivono nelle bacheche degli utenti sui social network, nei check-in su Foursquare», conferma Colletti. Secondo Netizen l'80 per cento delle 'antenne' è su Facebook, il 46 per cento su Twitter e il 37 sul social network per eccellenza della geolocalizzazione, appunto Foursquare.
Tutti mezzi utili, a patto che alla base ci siano contenuti di valore: come sempre, per la comunicazione e non solo.
Mass media25.11.2010
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