Trentanove sindaci del beneventano rinviati a giudizio per disastro ambientale. Metà degli scarichi sui corsi d'acqua locali non sono depurati e in alcuni punti il livello di inquinamento è mille volte superiore ai massimi consentiti

Disastro ambientale doloso. E' questo il reato contestato dal sostituto procuratore Antonio Clemente a 39 sindaci del Beneventano. E la relazione del consulente sulle condizioni sanitarie dei fiumi locali non lascia dubbi: "La situazione è grave e la diffusione espone a pericolo un numero grande ancorché indeterminato di persone che possono venire a contatto con la salmonella". Di più: nei fiumi Isclero, Calore e Sabato (questi ultimi due attraversano la città di Benevento), scorre il pericolo sanitario anche per la fortissima concentrazione di Escherichia coli, la contaminazione fecale per mancanza di depurazione delle acque.

Il biologo Giovanni Damiani nella relazione avverte: "Nella situazione esaminata ad innescare un'epidemia di salmonellosi potrebbe contribuire lo straripamento dei fiumi contaminati, eventi tutt'altro che rari in provincia di Benevento, ed avvenuti da ultimo il 10 novembre 2010 e il 5 maggio 2011".

L'acqua inquinata viene poi utilizzata nei campi coltivati, per innaffiare gli ortaggi, il granoturco, gli ulivi, le viti, i ciliegi e abbevera l'erba che mangiano gli animali. I prodotti entrano così nel ciclo alimentare e finiscono in tavola.

Ma la contaminazione non si ferma a Benevento e dintorni, poiché il fiume Calore è il più importante affluente del Volturno, che si estende fra Molise e Campania e sfocia a Castel Volturno.

Nell'inchiesta denominata "fulmina", condotta dagli uomini del Nucleo investigativo del Corpo Forestale dello Stato (Nipaf), si è accertato "il perdurare della situazione di inaccettabile inquinamento da almeno 10 anni", mentre "la prevedibilità della contaminazione è assolutamente scontata" perché "tali eventi erano dal punto di vista tecnologico facilmente evitabili".

Sul banco degli imputati sindaci, attuali e passati, che facevano anche pagare la tassa di depurazione, pur in assenza di depuratori. La Forestale ha controllato 119 scarichi e 59, la metà, sono risultati privi di depurazione, mentre le fognature cittadine scaricano i loro liquami direttamente nei fiumi. Tra i 59 impianti apparentemente funzionanti, meno di un terzo cento è risultato in regola. In alcuni luoghi i fiumi sono neri come il catrame. Non è solo colpa degli scarichi fognari, anche molte industrie versano indisturbate.

"La morte biologica del fiume Isclero è riconducibile a scarichi dell'industria della lavorazione delle pelli - si legge nella relazione al magistrato - e il letto del fiume è completamente ricoperto di materiale di colore nero". La situazione appare agli inquirenti addirittura irrecuperabile, perché "non è più un fiume ma un canale collettore di acque fortemente inquinate". Inoltre "la scomparsa di specie acquatiche potrebbe essere irreversibile".

In molti punti dei fiumi del Sannio l'inquinamento, molto pericoloso per l'uomo, supera 730 volte il limite, in altre anche 1.000 volte.

"La presenza della salmonella in tutto il corso d'acqua è inquietante", si legge. Ne sono state rinvenute di tre tipi, tra le più pericolose per l'uomo: la salmonella Kottbus, la Typhimurium e la Rissen, provocando un "rischio igienico-sanitario diffuso". E il divieto di pesca non scongiura affatto la minaccia. Pure i piccioni potrebbero trasportare la malattia, come avvenne in Spagna nel 2006 nell'isola grande delle Canarie, sostiene il consulente.

La colpa degli amministratori, secondo il magistrato, è evidente e ci sono pure i furbetti. La "presenza dell'impianto di depurazione appare irrilevante, riconducibile a una fogna urbana priva di trattamento". Nel piccolo comune di Paupisi non c'è alcun impianto, come in altri. C'è pure chi sta costruendo l'impianto di depurazione da quasi trent'anni, "la cui costruzione iniziò nel 1985 e non è mai stato terminato e non si conosce l'entità dei lavori svolti, mentre delle acque di scarico non è noto il destino".

La Forestale ha passato al setaccio comune per comune. A Fragneto l'Abate "il liquame in uscita dall'impianto è identico a quello grezzo di entrata, visibilmente scuro". A Foglianese, però, va di moda il risparmio energetico perché l'impianto di depurazione, ultimato nel 2009, "non è mai entrato in funzione per l'assenza di allaccio alla rete elettrica", ma ci sono anche quelli comunali abusivi, "uno con autorizzazione scaduta e l'altro, nuovo, non autorizzato". E lo sversamento nei fiumi è diretto.

A Durazzano invece c'è il cancello. Il resto è in rovina: "l'impianto di depurazione realizzato nelle sue importanti e costose parti strutturali appare sostanzialmente irrecuperabile, già passato nel panorama dell'archeologia industriale senza essere mai entrato in funzione". Nella vicina Ceppaloni, comune fino al 2008 amministrato da Clemente Mastella, su quattro impianti uno solo è fuori norma, ma appena fuori dal centro, allo Stretto di Barba, la salmonella, "è stata rinvenuta in campioni d'acqua". Comunque ci pensa il comune di Cappolattaro a rimettere un po' di scarichi abusivi. Lì, l'impianto è fermo e fuori uso.

Benevento, tuttavia, supera tutti. L'86 per cento degli abitanti non è collegato a impianti di depurazione, 53.500 persone su 62mila. La città dispone di tre impianti, di cui uno non funziona bene, mentre sono 24 gli scarichi diretti nei fiumi. La città è in buona compagna. Ad Airola le concerie e le case scaricano direttamente nei fiumi, "i tre impianti sono inattivi e bypassati". Molti comuni nemmeno pensano a controllare e allora sono i privati a scaricare con "autobotti dalla stradina carrabile che costeggia il corso d'acqua e dal piccolo ponte che lo sovrasta".

Pure Avellino non se la passa meglio, dove c'è uno "stato disastroso in cui versa il fiume. La carica fecale è elevatissima", eppure si annaffiano le coltivazioni e allora "il rischio sanitario diventa elevato".

Il Nucleo investigativo della Forestale non si è fidato molto degli amministratori e, durante i controlli, ha avvisato il comune e il gestore "in tempo per sopraggiungere, ma non sufficiente a poter modificare lo stato dei luoghi perché avrebbe potuto compromettere l'esito delle indagini".

Ma dopo i danni anche le beffe. Molti comuni hanno preteso che i cittadini pagassero la tariffa di depurazione, benché privi di impianti, e i "proventi non si sa neppure che fine abbiano fatto", denunciano le associazione dei consumatori.