La figlia di Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, ora gestisce gli affari del padre. E domina sui nuovi boss di Milano

Quando aveva cinque anni Cinzia Mangano era la fidanzatina di Pier Silvio Berlusconi, che da piccolo veniva chiamato Dudù. Erano coetanei e nei primi anni Settanta vivevano nella stessa villa ad Arcore e lei, la figlia del mafioso Vittorio Mangano, si divertiva a giocare con Pier Silvio. Cinzia lo ricorda biondo, con i capelli a caschetto. Nei loro giochi lei faceva il maschietto mentre Dudù «lo prendevo per una femminuccia». Cinzia Mangano era terribilmente gelosa del rapporto che aveva suo padre con Pier Silvio, forse perché non aveva avuto figli maschi e per questo motivo aveva un affetto paterno per Dudù che non nascondeva a nessuno. Un legame molto più forte di quello che dedicava a Marina Berlusconi: entrambi venivano accompagnati ogni mattina a scuola dallo stalliere che i capimafia di Palermo imposero a Silvio Berlusconi attraverso Marcello Dell’Utri.

Cinzia, come confesserà molto più tardi ai giornalisti, mal digeriva questa attenzione del genitore per il figlio del Cavaliere e per questo «dovevo dimostrare a tutti di essere più forte di Dudù». Trentasette anni dopo quella parentesi di bella vita trascorsa a villa San Martino ad Arcore, Pier Silvio Berlusconi è diventato vice presidente del Gruppo Mediaset mentre Cinzia Mangano, 43 anni, è finita in carcere per associazione mafiosa. I magistrati di Milano ritengono che la figlia dell’ex stalliere sia a capo di un’organizzazione criminale che ha messo radici nel capoluogo lombardo.

Lì continuerebbe a gestire l’ultima eredità paterna, trasformata in una moderna holding multiservizi: fa affari attraverso cooperative di servizi «frutto di iniziative di Vittorio Mangano» che rilasciano false fatture per creare fondi neri, forniscono alle imprese lombarde centinaia di immigrati irregolari come manovalanza, recuperano crediti e debiti per i loro “clienti” grazie all’intimidazione, danno appoggio logistico ai mafiosi palermitani di Cosa nostra in trasferta a Milano, compresi i latitanti, si occupano delle famiglie dei boss detenuti a Opera sostenendole anche economicamente, pagano gli avvocati, si prendono cura dei mafiosi in semi libertà, eseguono operazioni bancarie irregolari grazie alle complicità negli istituti di credito e sono collettori di voti per alcuni politici lombardi.

Cinzia Mangano, come dichiara il pentito Angelo Chianello, ha ereditato dal padre «un benessere di amicizie e soldi»: il giro d’affari delle cooperative era di diversi milioni, anche se lei risultava avere un reddito annuale di 80 mila euro. Di fatto, Cinzia negli anni è diventata il figlio maschio che lo stalliere aveva tanto desiderato: gli faceva anche da autista, accompagnandolo in macchina da Palermo a Milano. La donna abitava da sola a Tribiano, un paese alle porte della metropoli lombarda dove sfrecciava guidando una sportivissima Bmw Z4. Una signora di ferro, con un carattere forte che intimidiva tutti i suoi interlocutori.

I suoi luogotenenti erano lo “zio” Pino Porto, anche lui arrestato, chiamato “Pino il cinese” e il cognato, Enrico Di Grusa, che aveva sposato la sorella Marina Mangano. La mente dell’organizzazione - secondo i magistrati - è solo lei. È lei che studia l’irruzione nell’Ortomercato di Milano, dove si smistano frutta e verdura per tutto il Nord, per poi cercare di accaparrarsi altre commesse.

Lei ordina e Pino il Cinese esegue, facendo da filtro tra la Mangano e i criminali siciliani e calabresi che vogliono investire all’ombra della Madonnina. L’uomo individua i prestanome a cui intestare attività commerciali fra cui bar e panifici, alcuni dei quali in società con la famiglia dei Fidanzati di Palermo. Acquista appartamenti, immobili, e un grande motoscafo da 150 mila euro che tiene ormeggiato all’Arenella a Palermo, mentre a Milano gira in Ferrari. Tutto sotto il controllo di Cinzia.

I veri affari arrivavano dalle imprese che pur sane, non riuscivano a saldare grossi debiti. E allora entrava in azione Pino Porto. Bastava il suo accento siciliano e i modi ricalcati dalle scene de “il Padrino” per convincere gli imprenditori: pagavano o cedevano parte dell’azienda, in modo da far diventare soci occulti la Mangano e azioni», teorizzava la figlia dello stalliere. Così portano via gran parte dell’Optical media group a un industriale. L’uomo dei Mangano lo minaccia pesantemente e l’imprenditore corre a “mettersi in regola” da Cinzia.

«Sta venendo qua in ufficio», dice la donna al telefono con lo zio Pino, e aggiunge: «È cagato, da morire. Ed io lo lascio cagato...». Dopo l’incontro, Cinzia racconta allo zio Pino il dialogo con la vittima, sembra quasi divertirsi nel descrivere il panico dell’interlocutore messo davanti alla possibile rappresaglia in caso di mancato pagamento.

Le intercettazioni svelano anche lo sfruttamento dei dipendenti, quasi tutti irregolari. Un’imprenditrice che ha usufruito dei servizi delle cooperative denuncia che queste «donne straniere vengono sfruttate e trattate come bestie, non è possibile che ciò accada». Altri, come Delia Goy della G. D. Packaging, ricevono dalla holding Mangano lavoratori regolari ma assunti in nero ed altri extracomunitari privi di permesso di soggiorno. Quando Goy se ne accorge, preoccupata dei possibili controlli, protesta. Poi però si dichiara disposta a impiegare quella manodopera, se le viene concesso un prezzo molto inferiore a quello pattuito.

Gli affari delle cooperative e i grossi guadagni che ne derivavano hanno prodotto dissapori nella famiglia. Il matrimonio tra Di Grusa e Marina Mangano è finito per una questione di soldi: la mamma della ragazza pretendeva 5 mila euro al mese da suo genero perché la cooperativa, diceva la donna, era stata voluta da suo marito Vittorio. E durante la crisi matrimoniale la vedova di Mangano ha fatto intervenire i boss palermitani, spediti a Milano per tentare di ricucire la coppia.

Dalle indagini emerge che i mafiosi palermitani tentarono più volte di far ragionare Di Grusa, per una “riappacificazione” benedetta dai clan di Palermo: una missione che non è servita a impedire il divorzio. Ma anche certi atteggiamenti libertini di Pino il Cinese vengono censurati. Una volta venne scoperto da Di Grusa in un locale in compagnia di una donna rumena e gli disse: «Stai attento che se ti vede la Mangano ti finisce male».

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