Giovani
18 agosto, 2025Umberto Eco, nella sua Bustina Il telefonino e la regina di Biancaneve, sostiene come abbiamo trasferito l’ansia e l’impazienza di ottenere risposte, il più velocemente possibile, alla dimensione tecnologica: riuscendo quest’ultima a regalarci l’immediatezza, come per magia, stiamo dimenticando come la scienza “proceda adagio e la sua prudente lentezza non ci soddisfa perché vorremmo adesso la panacea contro il cancro, e non domani”
Umberto Eco era molto critico riguardo alla frenesia con cui utilizziamo smartphone e altri dispositivi elettronici, “consumando la propria vita in un dialogo tra non vedenti”. Abbiamo già parlato di come i social network modifichino l’approccio che adottiamo nei confronti dell’aspetto fisico, ma qui il discorso (e i problemi) si ampliano.
Siamo ragazze e ragazzi immersi in ammonimenti che, diciamoci la verità, dopo anni non possiedono più lo stesso impatto: pur rappresentando la generazione-tech per eccellenza, siamo i primi a essere nauseati dalle continue interazioni digitali e poco corporee. Appartiene al mese di giugno l’articolo de L’Espresso sul boom degli Offline Club in Europa. Semmai, sarebbe interessante comprendere le ragioni per le quali siamo inizialmente così attratti da questi specchi magici: il celebre scrittore, nella sua Bustina Il telefonino e la regina di Biancaneve, tiene a sottolineare come uno dei nostri maggiori desideri, sin dall’alba dei tempi, sia quello di annullare le distanze che ci separano. È realmente impressionante l’abitudine con la quale ci connettiamo nel giro di qualche secondo: sorvolando isole, montagne e foreste.
Ricostruiamo la nostra nicchia affettiva attraverso reti le quali, pur avendo i loro nodi anche oltre oceano, vengono abitate come fossero la lampada del genio di Aladdin. Eco stesso cita una fiaba come Biancaneve, richiamando il bisogno di costruire le proprie certezze porgendo l’orecchio a uno specchio. Tuttavia, non siamo addestrati a questa rapidità e non lo saremo a breve: abbiamo modificato l’ambiente che ci circonda a tal punto da renderlo più rapido di quello che siamo disposti a reggere, fisicamente ed emotivamente. Per quanto sogniamo di rimpicciolire il mondo per osservarlo sul palmo di una mano, cominciamo a soffrire di claustrofobia. Siamo diventati Re Mida, scegliendo di convertire qualsiasi cosa toccata in oro e tremando di paura nel momento in cui ci accorgiamo di trasformare anche l’acqua e il pane. Già, perché una delle capacità che gli smartphone possiedono è quella di pizzicare proprio il nostro pensiero magico: abbiamo incorporato un bisogno di incantesimi nel corso dei secoli.
La fretta di ottenere risposte il più velocemente possibile, l’urgenza di conoscere il futuro e placare un’ansia indomabile, che opprime il petto finché non conquistiamo la certezza di cui necessitiamo, è ciò che ci ha spinto, nel tempo, a rivolgerci a cartomanti, astrologi e magari anche al barbiere di fiducia. Secondo Eco, abbiamo trasferito questa impazienza alla dimensione tecnologica: riuscendo quest’ultima a regalarci l’immediatezza, come per magia, stiamo dimenticando come la scienza “proceda adagio e la sua prudente lentezza non ci soddisfa perché vorremmo adesso la panacea contro il cancro, e non domani”. Assumere coscienza del fatto che, a partire dalle scuole, gli studenti si avvicinano al procedimento scientifico in maniera fredda, attraverso un approccio puramente descrittivo o quantitativo, senza ampliare il discorso ai valori e ai processi che lo muovono.
La scienza procede per tentativi i quali, solo dopo ripetuti cambiamenti, confronti, frequenti prove e, persino, inevitabili errori, si avvicinano a una soluzione. Se, finora il rischio è stato quello di diventare la matrigna di Biancaneve, adesso, attratti dalle sue bellezze, seguiamo il pensiero magico rincorrendo il Bianconiglio, come Alice. Non è un caso che un filosofo come Telmo Pievani abbia nominato tutto questo La legge della Regina Rossa: quest’ultima, nel romanzo di Lewis Carroll, si ritrova costretta a correre sempre più rapidamente per poter rimanere nello stesso punto. Per cui, quando l’ambiente che abbiamo contribuito a modificare comincia ad accelerare e a essere più veloce di noi, ci ritroviamo evolutivamente sfasati. Per smettere di somigliarle, uno dei sentieri da seguire è quello di una rinnovata educazione scientifica e umanistica all’altezza delle sfide del nuovo mondo. Altrimenti rimarremo in equilibrio precario, con un piede nel Paese delle Meraviglie e con l’altro su un castello di carte.
*Vincenzo Voltarelli è uno studente di Filosofia appassionato degli scritti di Umberto Eco. Ne la rubrica L’Eco della notizia, in occasione dei 70 anni de L'Espresso, pesca dalle storiche Bustine di Minerva nuovi spunti per l'attualità
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