In Emilia Romagna, nel bar di un'area di servizio autostradale, i dipendenti sarebbero costretti ad indossare un braccialetto elettronico che suona quando l'impiegato sta fermo per più minuto e mezzo. In pratica, persone in carne ed ossa controllate come capi di bestiame e costrette a correre in tondo senza sosta
E’ una storia che - se confermata - avrebbe dell’incredibile quella rimbalzata nelle scorse ore dalle colonne del quotidiano francese
Le Monde e che si starebbe consumando in Emilia Romagna, nel cuore del nostro Paese.
Nel bar di un’area di servizio autostradale gestita dal gruppo francese Elior, titolare tra gli altri, del marchio My Chef, presentissimo sulle strade, nelle stazioni e negli aeroporti italiani, i dipendenti sarebbero costretti ad indossare degli speciali braccialetti elettronici che invierebbero al datore di lavoro un segnale in ogni ipotesi di immobilità del dipendente superiore al minuto e mezzo.
Si tratterebbe di un dispositivo anti-rapina, si giustifica il Gruppo francese che, peraltro, si affretta a precisare di aver ottenuto il via libera dei sindacati.
Non ha dubbi, invece, il patrigno di una delle dipendenti che ha parlato – sotto falsa identità – con Le Monde: si tratta di uno strumento di controllo a distanza dei lavoratori.
Quale che sia la verità – è obiettivamente difficile credere alla storia di un dispositivo anti-rapina adottato nell’interesse dei lavoratori – ci si ritrova davanti ad un’inaccettabile compressione della privacy dei lavoratori, costretti a giustificare al datore di lavoro, se e quante volte al giorno vanno in bagno ed a muoversi come marionette anche quando ciò non sarebbe necessario.
Lavoratori trattati come galeotti con il braccialetto elettronico alla caviglia (n.d.r. quello di My Chef sembrerebbe alla cintura), persone in carne ed ossa controllate come capi di bestiame o, piuttosto, come cavie da laboratorio, costrette a correre in tondo senza sosta.
Qual è la sorte dei dati raccolti da My Chef attraverso le cinture elettroniche dei propri lavoratori? Cosa accade a quei dipendenti che commettano la grave “imprudenza” di fermarsi troppo spesso, nel corso del proprio turno, per oltre un minuto e mezzo? My Chef utilizza davvero le informazioni acquisite attraverso il suo “giocattolo ammazza privacy” solo per garantire la sicurezza dei lavoratori e distrugge tutti i dati a fine turno o, invece, li conserva per l’eventualità in cui voglia contestare al lavoratore un eccesso di pigrizia?
Le Monde non racconta se la vicenda è già stata portata all’attenzione del Garante per la privacy italiano e se quest’ultimo abbia dato il semaforo verde al trattamento dei dati sulla “immobilità” dei lavoratori ma, se ciò non è ancora avvenuto, sarebbe opportuno che il Garante si attivasse mentre, se è avvenuto, sarebbe interessante capire su quali motivazioni si è ritenuto che, nel nostro Paese, possa considerarsi legittimo misurare - perché di questo si tratta - ogni episodio di immobilità di un addetto ad un bar (
n.d.r. e non dell’autista di un treno o di un aereo) superiore al minuto e mezzo, sottoponendo quest’ultimo ad uno stress senza eguali per evitare il beep che lo denuncerebbe pubblicamente come “il pigro del turno”.
E pensare che, in passato, si è persino discusso sulla compatibilità, con la disciplina sulla privacy, del braccialetto elettronico per i detenuti.
Guai a dare sempre la colpa di tutto alla politica ma non c’è dubbio che episodi come questo siano il risultato di una politica nazionale che, specie durante il Governo dei Professori, con l’alibi dell’emergenza economica, ha guardato – e male – solo ai numeri ed ai bilanci lasciando che, in giro per il Paese, si facesse sistematicamente carne da macello di ogni più elementare diritto civile.
Sarebbe bello, naturalmente, scoprire che Le Monde ha sbagliato e che ha raccontato come se fosse una storia vera quello che è, invece, solo un brutto incubo di una dipendente ma è, sfortunatamente, elevato il rischio che non sia così.