Seguendo il piano di espulsione degli immigrati irregolari, la polizia è andata in giro a chiedere i documenti di chi aveva l'aria poco 'nord europea'. Suscitando le proteste dei tanti svedesi 'ibridi' e di chi ha ottenuto regolarmente asilo. E mostrando le paure di una società già in parte multietnica. Che ora ha paura di essere invasa

STOCCOLMA – Un uomo vestito da vichingo ferma i passanti a Medborgarplatsen, a Stoccolma. Sotto il gelido sole di inizio primavera, pone a tutti la stessa domanda: «Che aspetto ha il tipico svedese?». Mascherato da guerriero low cost, con elmetto in plastica e parrucca bionda, il giornalista di 'The Local' Oliver Gee è a caccia di stereotipi nella capitale della Svezia. Una città che nel freddo bolle, come poche volte prima, contro il piano per l'espulsione di immigrati irregolari voluto dal governo.

«La polizia mi ha fermato mentre aspettavo un amico in una stazione metropolitana», ha raccontato a inizio marzo alla Sveriges Television Gonzalo Munoz, nato e cresciuto in Svezia da genitori cileni, «l'agente, in inglese, mi ha chiesto il passaporto perché ero 'sospettato di essere in Svezia illegalmente'». I documenti erano in regola. Il poliziotto si è scusato, ma alla tv il ragazzo ha commentato: «Questa è discriminazione».

In un territorio popolato da 9 milioni di abitanti e che nel 2012 ha accolto 111.090 stranieri tra studenti, lavoratori e rifugiati, si stima che gli immigrati senza permesso di soggiorno siano almeno 21.000. Nel 2009 il governo di centro-destra ha approvato un piano per il controllo dell'immigrazione finanziato in parte dal Fondo europeo per i rimpatri. Si chiama Reva, un acronimo in svedese che significa "esecuzione efficace e legale". Dall'approvazione il numero di espulsioni forzate a Stoccolma è raddoppiato: secondo i dati della polizia sono state 2.154 nel 2012 contro le 1.071 di quattro anni prima.

Alla ricerca dei "non-svedesi"
«Capelli biondi, occhi azzurri, barba, è questo il tipico svedese?», chiede Oliver Gee al signor Bengt: «Un tempo avevamo caratteritiche fisiche omogenee», ma adesso «siamo una società multietnica», è la risposta. Da decenni gli immigrati in Svezia superano il milione e in una città come Malmö, nel sud del Paese, la percentuale di stranieri sul resto degli abitanti nel 2008 era del 28%. Oltre ai finlandesi, il gruppo più numeroso è quello degli iracheni a cui si aggiunge chi arriva dai Balcani e dalla Siria. Sono in maggioranza rifugiati politici che cercano asilo nel nord Europa attratti dai sistemi di welfare e dall'efficienza. 43.000 sono le richieste di asilo pervenute all'Agenzia per l'immigrazione nel 2012. 50.000 la cifra prevista per il 2013. Delle domande viene accolta meno della metà, ma gli immigrati restano nella speranza che un ricorso, un lavoro, una qualsiasi opportunità possa evitare il viaggio solo andata verso un luogo che non considerano più casa. La polizia ha l'ordine di espellere chiunque sia trovato senza permesso di soggiorno. Quando arrivano i controlli in piazza o in metropolitana lo sguardo cerca i "non-svedesi". Almeno in apparenza. Persone dai capelli neri, gli occhi scuri, la carnagione di chi è nato sotto un sole diverso da quello del 60° parallelo. «Hanno accusato i poliziotti di compiere controlli su base razziale, ma il punto è che se non dai delle indicazioni precise agli agenti loro in qualche modo devono pur muoversi», commenta Andreas Bergström del think tank liberale Fores «gli è stato ordinato di trovare gli stranieri senza documenti in regola e loro hanno agito come potevano».

Una generazione ibrida
La reazione degli immigrati di prima e seconda generazione a Stoccolma, una delle ultime città toccate dal Reva, non è stata altrettanto conciliante. Nonostante la polizia avesse comunicato la fine dei discussi controlli in metropolitana, il 9 marzo oltre 2.000 persone si sono incontrate a Kungsträdgården per manifestare contro quelle che ritengono delle «pratiche razziste e discriminatorie». Si sono svolte proteste anche a Malmö, Gothenburg e Uppsala. Isabella Andersson, presidente di Ungdom mot Racism, Giovani contro il razzismo, non se la sente di dare tutta la colpa agli agenti: «Penso che le pratiche razziste siano una conseguenza degli obiettivi del governo in materia di immigrazione. Soprattutto, però, devono far preoccupare perché si basano su un luogo comune» che, dopo anni di politiche di accoglienza, immagina ancora il tipico svedese biondo e con gli occhi azzurri.

Da tempo gli scrittori nati in Svezia da famiglie di immigrati raccontano la rabbia di essere considerati "diversi" nel Paese degli Abba e dei mobili in legno Ikea. Tra loro c'è Jonas Hassen Khemiri, 34 anni, figlio di un tunisino e di una svedese. Con il suo romanzo di esordio sulla storia di un ragazzino dall'identità "ibrida", 'Un occhio rossoì, nel 2004 ha venduto oltre 200.000 copie. Giovedì 14 marzo Khemiri ha pubblicato sul quotidiano Dagens Nyheter una lettera in cui si rivolgeva al ministro della Giustizia Beatrice Ask, da sempre a favore del Reva, e la invitava a «provare a vivere per un giorno nella mia pelle»: «È impossibile essere parte di una comunità dove il Potere continua a vederti come "Altro"», scrive l'autore, con il Reva «la polizia ha cercato nei centri commerciali, fuori dalle cliniche che aiutano i sans papiers, cittadini svedesi sono stati costretti a fornire i loro passaporti e il ministro della Giustizia ha spiegato il tutto dicendo che i controlli non sono identificazioni su base razziale, ma dipendono dalle 'esperienze personali'» di ognuno. In 24 ore l'articolo ha avuto più di 250.000 visualizzazioni su internet, è stato condiviso 60.000 volte su Facebook e ha generato migliaia di tweet etichettati con l'hashtag #BästaBeatrice, cara Beatrice.

Not in my backyard
Tutto questo succede in Svezia, il Paese che nel 1975 ha dato il diritto di voto agli immigrati e dal 1 luglio 2013 garantirà l'istruzione gratuita ai figli degli irregolari fino al termine del liceo. In realtà, da qualche anno, complici i fatti di Malmö tra 2007 e 2008 e il flusso continuo di rifugiati dal Medio Oriente, l'atteggiamento degli svedesi è cambiato. Bergström di Fores osserva: «Solo due mesi fa la stampa e l'opinione pubblica avevano liquidato in malo modo la proposta del Partito di Centro» di introdurre libertà di movimento in Svezia anche per gli immigrati extraeuropei. Il "no" è stato così secco che alle prossime elezioni il partito rischia di non superare la soglia di sbarramento. Ora, invece, si discute «degli effetti disumani provocati dalla mancanza di una liberalizzazione», dice. Perché questa contraddizione? «Gli svedesi ritengono che finché non esiste un accordo congiunto in Europa sull'apertura delle frontiere, pensare a un provvedimento del genere in solitaria comporterebbe degli effetti insostenibili» per il sistema di welfare e per la società, dice Isabella Andersson di Ungdom mot Racism, «forse sono influenzati da chi dice che se ci fosse la possibilità milioni e milioni di rifugiati si trasferirebbero immediatamente in Svezia, ma io credo sia solo un mito». Come quello del popolo di soli biondi dagli occhi blu.

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