Un gip ha stabilito l'oscuramento di tre articoli con le intercettazioni telefoniche legate al caso della Banca Popolare di Spoleto. "E' il primo episodio del genere. Un precedente pericoloso per il giornalismo d'inchiesta"
Il rischio è che ora non si possano pubblicare atti processuali anche dopo la comunicazione di conclusione indagini. È questo il precedente che potrebbe nascere dopo la vicenda capitata al giornale online umbro
Tuttoggi.info a cui lo scorso 20 dicembre è stato recapitato l’avviso di sequestro preventivo, mediante oscuramento, di ben tre articoli contenenti intercettazioni relativi all’inchiesta che tocca la
Banca Popolare di Spoleto e che vede rinviate a giudizio ben 34 persone, tra cda e imprenditori legati all’istituto, per reati che, a vario titolo, vanno dalla mediazione usuraria all’ostacolo alla Vigilanza, dall’associazione a delinquere fino alla bancarotta fraudolenta.
La prima volta che accade per un quotidiano online. Ma c’è di più. Il motivo per cui l’ordinanza ha destato l’attenzione anche dello stesso
Ordine dei giornalisti sta nel fatto che gli atti processuali erano ormai pubblici quando il giornale, diretto da Carlo Ceraso, ha pubblicato gli articoli incriminati. E da ben tre mesi. Occhio alle date: il 29 maggio il procuratore capo della Procura di Spoleto
Gianfranco Riggio comunica l’avviso di conclusione indagine; dall’otto all’undici agosto, in successione, Tuttoggi si occupa della vicenda con tre inchieste scritte a quattro mani dallo stesso Ceraso e dal collega del Giornale dell’Umbria Massimo Sbardella. Ed ora arriva il sequestro preventivo disposto dal gip Daniela Caramico D’Auria dopo la querela presentata a novembre da Giovannino Antonini, ex dominus della Bps, che lo scorso 20 luglio, nell’ambito di un’altra inchiesta della Procura di Roma, è stato arrestato con l’accusa di corruzione in atti giudiziari insieme ad altre tre persone, fra cui il giudice del Tar Franco De Bernardi (per gli inquirenti Antonini avrebbe cercato di ‘sistemare’ il processo attraverso il quale far annullare il decreto di commissariamento disposto da Bankitalia e Mef).
Atti pubblici o no allora? Pare proprio di sì dato che nell’ordinanza di sequestro del 20 dicembre scorso è lo stesso magistrato che dichiara che “le intercettazioni pubblicate negli articoli” sono “atti non più coperti da segreto avendo il PM emesso nell’ambito del procedimento nr. 319/2009 avviso di conclusione delle indagini”.
Cosa si contesta allora? In pratica, a detta del gip, è necessario che il giudice non venga influenzato e non conosca gli atti prima dell’udienza preliminare, nonostante siano, di fatto, già atti pubblici. “Una preoccupazione che non esiste - come la definisce a L’Espresso il legale del giornale
Salvatore Francesco Donzelli - perché contrastante con il codice che parla invece di pubblicità degli atti al momento della notifica di conclusione delle indagini, comunicazione che era stata resa nota alla stampa dallo stesso Procuratore capo di Spoleto con un comunicato ufficiale”.
Un principio che se diventasse norma potrebbe portare all’oscuramento di gran parte della cronaca giudiziaria del nostro Paese. “In pratica - continua Donzelli - è stata applicata la ‘legge bavaglio’ su cui tanto ha insistito il passato governo Berlusconi”. Si legge infatti nell’ordinanza che “la libera disponibilità degli articoli può aggravare la conseguenza del reato” e, soprattutto, che il giudice “non può e non deve conoscere gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero se non attraverso il dibattimento”.
Nessun riferimento, invece, alla pubblica opinione che, a conclusione indagini, dovrebbe avere il diritto di conoscere (e approfonditamente) atti che toccano un istituto importante come quello di Spoleto, quotato in Borsa. “È un’iniziativa assolutamente assurda quella intrapresa - chiosa ancora Donzelli - credo nella buona fede dei magistrati, però oggettivamente è una decisione abnorme perché si è fatto semplicemente giornalismo d’inchiesta informando su cosa stava accadendo in una banca di cui è stato devastato il patrimonio, con un buco spaventoso tanto che poi è stata commissariata da Bankitalia (il 16 febbraio scorso, ndr)”.
Non è la prima volta, d’altronde, che Bps e Tuttoggi si scontrano a muso duro. L’otto maggio 2012 il giornale scovò e pubblicò in esclusiva un video che dimostrava il modus operandi dell’ex presidente Antonini e che prontamente venne consegnato alle autorità competenti (anche qui l’inchiesta ha portato la Procura a spiccare 9 avvisi di garanzia con varie accuse, dalla ingiuria alla minaccia, al falso ideologico a comportamenti fraudolenti grazie ai quali Antonini sfuggì alla sfiducia votata dalla maggioranza del board dell’epoca). Delle vicende sulla Pop Spoleto si è occupato anche
Ossigeno, l’osservatorio sui giornalisti minacciati in Italia, dato che lo stesso Ceraso ha ricevuto in passato intimidazioni e minacce di morte che, scrive lo stesso osservatorio, “avevano verosimilmente la loro origine nell’interesse della testata per le vicende dell’istituto di credito umbro”. Ed ora ecco l’ultima tessera: l’oscuramento di tre articoli, nonostante gli atti di cui ci si occupava fossero già pubblici.
Sulla questione anche
Guido Scorza, uno dei massimi esperti di web e censura, si dice stupito, almeno dal punto di vista dello squilibrio tra quotidiano online e cartaceo: “La mia sensazione - dice l’avvocato e giornalista - è che in effetti siamo di fronte ad un provvedimento abnorme nelle conclusioni. La cosa curiosa in questa partita è che se fossimo stati davanti ad un giornale di carta nessuno avrebbe neppure lontanamente avanzato l’idea del sequestro, mentre di fronte ad una testata registrata online qualcuno non solo denuncia, ma addirittura c’è chi dispone il sequestro”. Secondo Scorza, in altre parole, ci sono al momento due pesi e due misure tra l’online e il cartaceo: “Si sta andando in una direzione, come d’altra parte dice la nuova legge sulla diffamazione, nella quale fondamentalmente l’editore di carta e l’editore telematico sono soggetti allo stesso tipo di responsabilità. Quando si tratta di chiamare il giornalista o l’editore a pagare il conto per l’errore, l’informazione di carta e quella telematica vengono equiparate dal punto di vista giuridico; quando invece si tratta di garantire la tutela del giornalista siamo all’assurdo: l’editore del giornale di carta dispone della garanzia in pratica di non incorrere mai nel sequestro preventivo; mentre l’editore dell’online non può disporre della stessa tutela. Come dire: paga lo stesso prezzo ma gode di meno garanzie”.
Al momento il giornale preferisce non rilasciare dichiarazioni in attesa del pronunciamento del Tribunale del Riesame di Perugia a cui è stato presentato ricorso perché annulli la disposizione ordinando il dissequestro. Forte è arrivata la vicinanza anche dall’Ordine dei Giornalisti il quale auspica “che la magistratura sia capace nelle sue articolazioni di porre riparo ad un atto che arrecherebbe un danno grave all’informazione ed al diritto fondamentale dei cittadini ad essere informati”. Quello che è in gioco è il giornalismo d’inchiesta.