Stipendio da favola. Liquidazione a cinque zeri. Immunità totale. Pensioni d'oro. Auto blu con due chauffeur personali. Appartamenti di servizio. Previdenza sanitaria deluxe. Ecco i vantaggi che si celano dietro la battaglia che da mesi oppone i partiti in Parlamento
À la guerre comme à la guerre. Accordi sottobanco, imboscate, dissidi. Passi indietro, conciliaboli. Numeri da segnare col pallottoliere,
innumerevoli fumate nere. La snervante e feroce battaglia che si consuma da giugno per l’elezione di due giudici della Consulta si può capire soltanto alla luce del ruolo che le assegna la Costituzione: stabilire la legittimità delle leggi, dirimere i conflitti fra i poteri dello Stato, giudicare il presidente della Repubblica se viene messo sotto accusa dalle Camere, valutare l’ammissibilità dei referendum. Un potere tale da rendere assai appetibile poltrona dei 5 componenti di nomina parlamentare. Non a caso i partiti da sempre si scontrano per piazzarvi i loro accoliti o quanto meno personalità di area. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque.
GRAZIE SILVIO Se il prestigio che se ne ricava è indubitabile, a rendere ancora più aspra la contesa sono anche i benefici di cui i 15 alti magistrati godono nei nove anni del loro mandato. A cominciare dallo stipendio extra lusso, il più alto previsto per tutta la categoria:
30 mila euro al mese (lordi), che diventano 36 mila per il presidente. Tradotto su base annua, fanno rispettivamente 360 mila e 432 mila euro.
Troppo? Eppure questo è il risultato dei tagli fatti per venire incontro alla richiesta del premier Matteo Renzi, che ha fissato un tetto alle retribuzioni statali prendendo come parametro l’emolumento del Capo dello Stato (240 mila euro).
Fino allo scorso aprile, infatti, la retribuzione dei giudici costituzionali era assai più alta: 466 mila euro l’anno per i togati “semplici” (
39 mila al mese) e 560 mila per il presidente (
47 mila al mese). Costo complessivo per le casse dello Stato nel 2013: 9 milioni.
E il paradosso è che a rendere tanto pesante il trattamento economico è stato uno storico avversario delle toghe:
Silvio Berlusconi, il cui governo a Natale 2002 inserì in finanziaria una norma per aumentare del 50 per cento lo stipendio, fino ad allora uguale a quello del primo presidente di Cassazione (311 mila euro attualmente). Una strenna faraonica pensata, secondo i maligni, per ingraziarsi i giudici in vista di eventuali ricorsi contro le leggi ad personam. Il regalo non ha prodotto grandi risultati, visto l’esito del lodo Schifani, lo scudo giudiziario varato pochi mesi dopo e dichiarato incostituzionale nel 2004. In compenso l’omaggio in busta paga è rimasto.
UNA PRESIDENZA CHE VALE UN TESAUROLa cospicua elargizione berlusconiana, fra l’altro, si rivela ancora più importante al momento dell’addio, visto che la buonuscita è calcolata sull’ultimo stipendio moltiplicato per il numero di anni di servizio. Ed è anche per questo che per il ruolo di presidente - che frutta un 20 per cento in più (72 mila euro l’anno) come “indennità di rappresentanza” - viene quasi sempre scelto il giudice con la maggiore anzianità di carica: così tutti possono aspirare, un giorno, al massimo titolo. Risultato: la carica, per legge fissata in massimo tre anni, spesso dura pochi mesi. Come mostrano tutti i casi degli ultimi anni:
Gaetano Silvestri (9 mesi e 9 giorni),
Franco Gallo (7 mesi e 18 giorni),
Ugo De Siervo (4 mesi e 19 giorni),
Giovanni Maria Flick (3 mesi e 4 giorni). Fino al caso limite di
Vincenzo Caianiello, che nel 1995 fu presidente per appena 44 giorni.
Il presidente attuale, l’ex numero uno dell’Antitrust
Giuseppe Tesauro, non fa eccezione: è stato eletto presidente il 30 luglio malgrado coi suoi 72 anni sia uno dei più giovani del collegio e termini il suo mandato
il prossimo 9 novembre. Resterà dunque in sella
tre mesi appena: sufficienti però a far lievitare la buonuscita, che in questo modo dovrebbe aggirarsi attorno ai 300 mila euro lordi (anziché 250 mila).
«La brevità della mia presidenza non costerà una lira in più rispetto ad una lunga» ha rassicurato lui. Verissimo: fosse rimasto in carica un triennio, non sarebbe cambiato nulla. Solo che a dicembre sarà già necessario eleggere il suo successore e i costi aumentano anche per le super-liquidazioni dei presidenti a raffica.
UN POSTO MOLTO AMATOA ogni modo non c’è da temere: quando i nove anni finiscono, si può contare su una
pensione più che dignitosa. L’anno scorso per erogarne 31 (22 giudici emeriti e 9 vedove), la Consulta ci sono voluti
oltre 5 milioni e mezzo: una media da 180 mila euro l’una. E l’anno prossimo, per effetto della scadenza dei mandati (
l’ex presidente Silvestri, quello attuale Tesauro, Luigi Mazzella e Sabino Cassese), la spesa salirà ancora e supererà i 6 milioni.
Insomma, diventare giudice costituzionale - concesso a magistrati, giuristi e avvocati con almeno 20 venti anni di attività - è comprensibilmente un incarico ambitissimo. Perché è vero che il mandato è incompatibile con qualsiasi altra attività retribuita (tranne la riscossione dei diritti d'autore) ma permette il cumulo coi trattamenti pensionistici. Così, se ce la farà a scalare la Consulta,
Luciano Violante potrà continuare a beneficiare del vitalizio da 5.631 euro (netti) al mese che percepisce dal 2008, dopo 29 anni passati a Montecitorio. Mentre
Donato Bruno, avendo maturato i requisiti, fuori dal Parlamento potrebbe iniziare a riscuoterlo ma dovrebbe accontentarsi di un po’ meno:
circa 4 mila euro al mese per 18 anni di versamenti.
Un po’ come già accade all’ex premier
Giuliano Amato, nominato giudice costituzionale da Giorgio Napolitano giusto un anno fa e percettore di
oltre 11 mila euro al mese come docente universitario in pensione ed ex presidente dell’Antitrust, cui si aggiunge un
vitalizio parlamentare da 5.170 euro (che però, assicura il Dottor Sottile,
va tutto in beneficienza).
UN’AUTO BLU È PER SEMPRE (O QUASI)Non c’è dunque da meravigliarsi se, forse per le massicce pareti del palazzo settecentesco progettato da Ferdinando Fuga, l’eco della crisi è arrivata assai attutita a Corte. Tanto che mentre l’economia lentamente affondava, il contributo dello Stato cresceva, passando dai 46 milioni del 2007 ai 52,7 milioni del 2013: una enormità, se si calcola che alla Consulta lavorano appena 330 persone, fra personale di ruolo e distaccato. Soldi che se ne vanno in gran parte, oltre che per i giudici, per pagare gli stipendi dei 204 dipendenti interni (20 milioni: in media 100 mila euro ciascuno) e 235 pensioni (19,3 milioni).
Un piccolo mondo a sé in cui risultano di stanza perfino 44 carabinieri (erano 42 nel 2012) e dove tutti i giudici dispongono, in base a un regolamento interno, di un’auto blu con due chauffeur “personali”. Solo per noleggiare le vetture e pagare assicurazione, telepass, viacard, parcheggi e manutenzione l’anno scorso sono stati spesi quasi 50 mila euro al mese. Più altri 10 mila (sempre al mese) di benzina.
Troppo? La Consulta, essendo un organo costituzionale, può decidere in totale autonomia e senza alcuna interferenza esterna tutte le spese, nemmeno a fini di controllo. E comunque, anche in questo caso, bisognerebbe ringraziare. Una spending review, per quanto mini, è infatti arrivata anche a Corte: prima i giudici avevano diritto all’auto blu (e agli autisti) per tutta la vita. Dal 2011, invece, gli ex ne hanno diritto solo per il primo anno dopo aver finito il mandato. Il cellulare invece è rimasto, così come il rimborso dell’utenza domestica. Se il privilegio sembra eccessivo, però, si può rinunciare a farsi pagare anche le bollette del telefono di casa.
Un'isola dorata in cui anche la salute è un bene primario. Tanto che con un prelievo volontario di 160 euro al mese si ha diritto a una assistenza sanitaria integrativa di tutto rispetto. Un welfare che non copre solo gli esami di alta diagnostica ma entra fino in sala parto: nel 2012, ad esempio, la Consulta ha rimborsato perfino 5200 euro per un parto cesareo e 2600 euro nel 2013 per uno naturale. Oltre a 91 prestazioni ambulatoriali costate mediamente 700 euro l’una.
SETTIMANA CORTA, VACANZE LUNGHEMa non è finita. Oltre alla gratuità dei viaggi in treno e i rimborsi per trasferte, voli e taxi (costati altri 10 mila euro al mese lo scorso anno), c'è la ciliegina sulla torta: gli appartamenti di servizio, pensati anche per le toghe che vivono nella capitale: bilocali e trilocali con servizi e cucinino, ubicati al quinto piano del palazzo della Consulta o nell’attigua via della Cordonata. Una sistemazione casa e bottega per alleviare le giornate lavorative durante la pausa pomeridiana (dalle 13 alle 16) ma di cui si può usufruire anche durante la cosiddetta “settimana libera”, ovvero quella in cui i giudici costituzionali non lavorano.
Già, perché non si può dire che alla Consulta ci sia da spaccarsi la schiena, dato che la Corte si riunisce ogni due settimane: in udienza pubblica il martedì e in Camera di consiglio il mercoledì per discutere le cause, dedicando il giovedì (raramente anche il venerdì) per redigere le sentenze. Poi se ne riparla dopo 15 giorni.
Un calendario inflessibile, tanto che quando si accavallano due settimane lavorative consecutive, come accaduto lo scorso aprile, si “recupera” fissando quella seguente a distanza di 20 giorni. E con vacanze che solitamente vanno dal 10 luglio al 20 settembre. Quasi come ai tempi della scuola.