Il premier chiude la manifestazione con un lungo discorso incentrato su i temi dell'azione governativa. Ma il centro del suo intervento resta il Jobs act. E non mancano le risposte ai sindacati e alla minoranza Pd
Entra a suon di musica, sulle note del video realizzato per celebrare un quinquennio di
Leopolda.
Matteo Renzi si infervora, alza i toni, la sala applaude: il Presidente del Consiglio, al suo ingresso in sala, è accolto da una standing ovation. Le prime parole sono per i volontari «venuti qui pagandosi viaggio ed alloggio».
Poi va giù duro: «Sarà bello vedere se è più di
sinistra restare aggrappati alla nostalgia o provare a innovare e cambiare il futuro»: Matteo Renzi ha toni fermi, nel suo discorso conclusivo, verso quella parte del
Partito Democratico che ha scelto di partecipare
alla manifestazione indetta a Roma dalla Cigl sabato 25 ottobre.
«È finita l’Italia delle macchine fotografiche a rullino, siamo nell’epoca digitale», tuona dal palco. È la sua metafora diretta a chi manifesta contro il
Jobs Act, una norma che «la sinistra non ha votato nel 1970».
[[ge:rep-locali:espresso:285507299]]Ed è a quella stessa parte che lancia l’anatema: «non consentiremo a nessuno di
riprendersi il Partito Democratico e di riportarlo al 25%»: Renzi non manca mai, nemmeno in questa occasione, di rammentare il risultato delle scorse elezioni europee: risultato che, come lui racconta, ha fatto presente anche ad Angela Merkel.
Ci scherza, ammette che perfino il suo portavoce, Filippo Sensi, gli consiglia pacatezza quando lo vede infervorato. Ma Renzi non obbedisce a quei consigli: forse mai lo si era sentito prima così accalorato: si rivolge al suo «popolo», che non lesina coretti.
Tocca i punti dell’azione di Governo: dalla politica estera alla riforma elettorale, ma lo fa parlando alla pancia, non con il tono istituzionale con cui lo si ascolta a Roma, dentro le pareti della Sala per conferenze stampa di Palazzo Chigi.
[[ge:rep-locali:espresso:285507300]]A casa sua, a
Firenze, in mezzo alla sua gente, Matteo diventa un animale da palco: stringe i pugni, si agita, comunica con tutto il corpo. Esalta il fascino, l’energia, la bellezza del popolo leopoldino, come un capitano motiverebbe i suoi giocatori, la sua squadra. Preme sul senso di appartenenza, conpatta le sue fila, evoca i “
gufi”, quelli che – come i caratteristici osservatori dei lavori dei cantieri stradali – fanno il tifo affinché il Governo non riesca nei suoi intenti.
Termina ribadendo la promessa iniziale: che il futuro sia solo l’inizio, che la scommessa lanciata a se stesso ed all’Italia non verrà meno. Matteo Renzi non ha intenzione di cedere.