Disoccupazione in aumento, aziende in crisi, licenziamenti. Da Eni a Trw, ecco le vertenze più importanti che stanno investendo la città toscana

A Livorno, la città del Vernacoliere e di Ovosodo,  non si ride più. L’ironia ha lasciato il posto alla rabbia e alla paura del futuro. Il presidente toscano Enrico Rossi ha spiegato al governo che per recuperare l’occupazione perduta in questo territorio sarebbe necessario creare 20mila posti di lavoro. E dal 2008 ad oggi la disoccupazione ha raggiunto il 13,5% e quella giovanile addirittura il 45 per cento.

Livorno è così diventata un caso nazionale. Regione Toscana, Provincia e comune di Livorno hanno ottenuto dal governo l’apertura, il 23 ottobre scorso, di un tavolo «per rilanciare la ripresa produttiva e occupazionale della città». Crisi strutturale, dalle profonde radici. «Fino agli anni Novanta l’economia livornese è stata caratterizzata dalla presenza delle Partecipazioni statali e della grande industria. Finché l’economia è stata pubblica la politica è riuscita a mediare e a governare le crisi», spiega il segretario provinciale della Cgil Maurizio Strazzullo. Con l’avvento delle multinazionali il sistema industriale locale si è ritrovata senza i salvagente della politica. Decide il mercato. E i vertici delle aziende sono spesso lontanissimi da Livorno.

Reportage
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TRW - È il caso dell’americana Trw, una multinazionale che produce sterzi per auto, soprattutto targate Fiat: 500 lavoratori, cui 50 dell’indotto, che rischiano tutti di andare a casa. Governo nazionale e istituzioni locali hanno chiesto di rinviare di un anno la minacciata chiusura, ma la società statunitense ha risposto picche. E ha confermato la decisione di interrompere l’attività entro la fine del 2014. «Siamo ancora una volta  di fronte a un’azienda che è venuta, s’è presa le produzioni, le ha sfruttate finché le è convenuto e ora saluta senza alcun vincolo. Non vorrei le dessero anche la detassazione dell’Irap per andarsene con qualche soldo in più...», ha polemizzato il segretario nazionale della Cgil Susanna Camusso.

ENi - Tra le altre vertenze spicca quella della raffineria dell’Eni, che dà lavoro a 900 persone, di cui metà dipendenti dell’azienda e l’altra metà delle piccole imprese che la riforniscono. Il rischio è quello della dismissione, lasciando senza stipendio novecento famiglie. L’Eni ha smentito la possibilità di chiusura dello stabilimento labronico, ma non ha escluso l’ipotesi di vendita, eventualità osteggiata dai sindacati.

Tabella
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DE TOMASO - Tremano anche i 127 dipendenti della De Tommaso auto, senza contare partite già perse come quella dell’azienda Mtm, componentistica per vetture (200 lavoratori già a casa), e della Cil, settore ceramiche, che occupava 60 dipendenti. «Senza contare le tante piccole imprese e negozi che chiudono di continuo», spiega Strazzullo. E la situazione non va meglio nelle strutture del porto, che occupano 1500 addetti più i 6500 dell’indotto. Finora nessun posto di lavoro è saltato, ma grazie solo agli ammortizzatori sociali. Un declino, quello del porto che si trascina lungo tempo: negli ultimi 5 anni è stato perso il 25 per cento del traffico merci.

EX LUCCHINI -  Se Livorno piange, la vicina Piombino torna a tirare un sospiro di sollievo. Motivo? Per rilevare gli impianti e l’attività della ex Lucchini, perno con 3.700 dipendenti del secondo polo siderurgico d’Italia, sono state presentate sul tavolo del commissario due offerte: quella dell’azienda indiana Jndal e dell’algerina Cevital. Entro Natale la scelta. E Piombino, dopo aver perso la rottamazione della Concordia, spera almeno di conservare l’acciaio.

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