Troppi cittadini sono rimasti senza welfare e senza sicurezza, e sentono lo Stato lontano. Per questo sfogano la rabbia sui migranti, come nel caso di Tor Sapienza. Parla il sociologo Marzio Barbagli

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Incapacità di gestire i flussi migratori. Mancanza di politiche per l’integrazione. Aumento dei reati predatori commessi da immigrati irregolari. «Sono queste le ragioni profonde del malessere sociale di cui i fatti di Tor Sapienza sono la rappresentazione plastica», spiega a “l’Espresso” Marzio Barbagli, sociologo dell’università di Bologna che per il ministero dell’Interno ha curato diversi rapporti sul tema della sicurezza e l’immigrazione. «Siamo di fronte a un fenomeno complesso, che affonda le sue radici nei problemi che i governi non hanno saputo risolvere», osserva l’esperto. Che rivela: «Gli italiani non sono razzisti. Dai dati che abbiamo raccolto sappiamo che la maggioranza è favorevole a regole più semplici per fare ottenere la cittadinanza agli immigrati».

Professore, in questo contesto di crescente malcontento, l’ondata di sbarchi sta cambiando il fragile equilibrio dell’accoglienza?
«In realtà gli immigrati che arrivano via mare sono una minima parte, più visibile per l’attenzione dei media. Tutti gli altri arrivano con permessi turistici e poi rimangono sul territorio oltre il tempo consentito diventando perciò irregolari. È sotto gli occhi di tutti l’incapacità dei governi che si sono succeduti di far fronte ai flussi migratori e di rimpatriare le persone che hanno ricevuto il decreto di espulsione e che spesso hanno commesso reati».

Ma secondo lei il sistema dell’accoglienza funziona?
«Esistono i centri di accoglienza e i centri per l’espulsione. In entrambi i casi la realizzazione di queste strutture ha creato resistente dei residenti delle zone in cui dovevano sorgere. Così come si oppongono alla presenza di campi nomadi sul proprio territorio. Queste frizioni ovviamente hanno creato molti problemi per il sistema dell’accoglienza che in quindici anni, per numero di centri, è rimasto tale e quale».

Cittadini che sono sempre più preoccupati dai crimini commessi dagli stranieri. È solo una percezione, figlia di un sentimento xenofobo strisciante, o è un timore supportato da dati concreti?
«La quota di stranieri sul totale dei denunciati è molto alta per i reati contro il patrimonio. In particolare nel centro nord per alcuni di questi si arriva al 50 per cento sul totale dei segnalati. Negli ultimi tre anni c’è stata una crescita del numero di immigrati, in larga parte irregolari, che hanno commesso reati predatori (rapine, furti e borseggi), anche se non così accentuata come in passato. Altri delitti invece, penso ai delitti dei colletti bianchi, continuano a essere monopolio di italiani. Quindi non è che provenire da un particolare Paese, come spesso i giornali di destra dicono, è di per sé una predisposizione a commettere determinati crimini».

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E il fatto che spesso borseggi, rapine, furti, restano impuniti, acuisce la rabbia sociale?
«L’impunità riguarda sia i reati commessi dagli italiani sia quelli i cui autori sono stranieri. Io credo che il motivo del malcontento derivi dalla sensazione di abbandono che i cittadini avvertono. Chi ha subìto un furto non sente lo Stato vicino. I cittadini sono preoccupati dalla criminalità in aumento ma anche dal welfare che inizia a scricchiolare perché deve assistere sempre più persone e fare i conti con continui tagli alle risorse».

Forze politiche che soffiano sul fuoco della rivolta anti immigrati, fomentando il razzismo, E altre invece che quando hanno avuto l’occasione non hanno affrontato i problemi. È questo il quadro?
«La Lega dopo un periodo di assenza dalle campagne anti immigrazione, ha ricominciato a cavalcare l’onda anti immigrati. Ha ricominciato perché ha capito che può guadagnare consensi. Dall’altra parte c’è il centrosinistra, in particolare il Pd, che dopo un periodo di difficoltà, aveva iniziato a occuparsi di immigrazione in maniera seria, poi però negli ultimi anni questi temi sono di nuovo scomparsi per lasciare spazio alle grandi questioni del lavoro e dell’economia. Da parte del presidente del Consiglio, in particolare sui flussi, non ho ancora sentito nulla su questo argomento, anzi è un tema scomparso dall’agenda. Non è solo il centrosinistra però a essere stato inconcludente. Passi avanti non ce ne sono stati neppure con i governi di centrodestra».

Insomma non se ne parla, o se ne parla male. Forse però una legge sulla cittadinanza potrebbe favorire il processo di integrazione?
«È l’altra grande questione. Gli esponenti del centrosinistra sembravano decisi nel portare avanti la proposta, poi rimasta in sospeso. È uno strumento fondamentale per l’integrazione e per avvicinarci agli altri Paesi europei. Anche perché gli italiani, secondo i nostri dati, sono favorevoli a concedere la cittadinanza in maniera più semplice ai figli degli immigrati nati in Italia».

Il problema dunque sta a monte, e non nel degrado di alcune periferie?
«Da noi non si sono creati ghetti veri e propri, e il grado di segregazione non è alto. Ci sono enclave, è vero, ma non sono persone che stanno insieme perché “costrette”».

Tuttavia la crisi economica ha peggiorato le cose. Tanto che a Tor Sapienza l’obiettivo preso di mira è un centro per rifugiati che non hanno commesso alcun crimine.
«La recessione favorisce l’esplosione della rabbia che può trasformarsi in azioni violente. Non abbiamo a che fare con strati razzisti della popolazione, ma con italiani che stanno vicini a sacche di emarginazione e a questioni mai risolte».

Crisi economica, esclusione sociale, guerre tra poveri. Temi che la Lega Nord cavalca. È possibile che aumenterà il consenso?
«Come le dicevo, la Lega per molto tempo è stata assente su questi temi perché aveva problemi interni da risolvere. Ora ci è tornata, ma non credo riesca a crescere di più di quanto indicano gli ultimi sondaggi».

Vede delle analogie con i drammatici fatti di Parigi del 2005? Quella rivolta delle periferie è possibile anche da noi?
«Il paragone con Parigi e i fatti delle banlieue di nove anni fa non regge. Da noi le “seconde generazioni” rappresentano una parte esigua. E quella è stata una vera e propria guerra urbana scaturita da altre questioni: un giovane era stato ucciso e il clima d’odio aveva raggiunto livelli altissimi».